Non passa giorno in cui non
assistiamo ad annunci televisivi su possibili decisioni del governo o delle
autorità locali in merito alla regolarizzazione delle coppie di fatto, mediante
l’istituzione di registri comunali appositi. L’ultimo, e penso unico, tentativo
fallito di stabilire delle normative in merito risale al 2007, col disegno di
legge sui DICO, scritto sulla falsa riga Patti di Solidarietà tra le “coppie di
fatto” (PACS) francesi, e comprendenti anche normative di Diritto Civile
relative alle coppie omosessuali conviventi. Di fronte a questi interventi
normativi si assiste anche ad una veemente levata di scudi da parte di tutti
quei politici, appartenenti ad ambedue gli schieramenti, che in qualche modo
fanno riferimento agli insegnamenti morali della Chiesa Cattolica, la quale non
risparmia quotidianamente di condannare anche la sola eventualità che questo
tipo di tematiche vengano discusse in sede parlamentare. Come si pone il credente di fronte a tutto ciò?
Occorre riconoscere
che non è facile affrontare la questione con serenità. Anche noi credenti
infatti non siamo esenti dal clima politico di contrapposizione esasperata che
si respira da diversi anni in Italia. Tuttavia credo che dovremmo perlomeno
tentare di affrontare questi argomenti liberandoci da certi schemi ideologici
di conflitto destra/sinistra che la politica attuale ci impone. Tanto più in
casi come questo, in cui ci troviamo ad affrontare un tema “scabroso” quale
l’introduzione di leggi a tutela della coppie gay, anche perché, permettetemi
di dire, la televisione stessa non ci risparmia di propinarci questi argomenti
con l’ausilio di immagini su coppie omosessuali disinibite riprese durante un
qualche gay pride, condizionando
dunque ancora di più le nostre reazioni. È proprio in situazioni di questo
genere, nelle quali è più facile scivolare in risposte istintive, che diventa
imperativo esaminare bene la piattaforma
teologica entro cui elaboriamo le nostre convinzioni.
La tendenza
generale, da quel che mi è dato di vedere, è quella di sostenere la battaglia
che la Chiesa Cattolica porta avanti. Se infatti in molte circostanze siamo noi
evangelici i primi a lamentarci della presenza oltremodo invadente della Chiesa Cattolica nella realtà sociale del nostro Paese,
in questi casi tendiamo ad apprezzarne i risvolti positivi, considerando dunque
le pressioni del Vaticano sulla politica come un baluardo che ci ripara da
derive immorali della nostra società. Ho però l’impressione che ci
dimentichiamo la piattaforma teologica
entro cui si pongono gli interventi del Vaticano. La Chiesa Cattolica ha
un’impostazione teologica in base alla quale la Chiesa non attende la
realizzazione del Regno di Dio sulla terra solo in seguito ad un evento
catastrofico, quale il ritorno di Cristo, ma si muove in vista di una
realizzazione, qui ed ora, del Regno stesso, operando all’interno della
società. Questa impostazione positivista della storia dell’umanità, tra
l’altro, non è nemmeno di pertinenza esclusiva del Cattolicesimo, ma la si ritrova
anche in ambito Protestante, in particolare nel Calvinismo.
Ho l’impressione che quando
noi evangelici guardiamo con favore agli interventi del Vaticano sulle coppie
di fatto etero- e omosessuali, ci dimentichiamo della piattaforma teologica entro cui nascono, e non ci rendiamo così
conto di abbracciare indirettamente quella stessa impalcatura dottrinale. Cerco
di spiegami meglio.
Sono convinto che la Bibbia sia
molto chiara sul fatto che la pratica dell’omosessualità sia un peccato. Questo
ci autorizza ad incoraggiare una legislazione che renda illegale la pratica
dell’omosessualità? La stessa domanda potrebbe porsi per le convivenze
prematrimoniali. Penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che la Bibbia
condanna la fornicazione e l’adulterio, dovremmo allora adoperarci per una
legge che faccia andare in galera chiunque venga scoperto ad intrattenere
rapporti sessuali biblicamente illeciti?
Io ritengo di no. Ciò non
toglie che se uno si converte a Cristo, provenendo da una storia personale di
vita moralmente dissoluta, omo- o eterosessuale che sia, debba confessarlo al
Signore e ravvedersi, cambiando radicalmente il proprio stile di vita. Se però
riteniamo che la Chiesa sia chiamata ad imporre alla società le sue regole
morali, per realizzare una società
cristiana, se cioè partiamo da una piattaforma
teologica analoga a quella della Chiesa Cattolica, risponderemo
necessariamente di sì alle domande precedenti.
La domanda di fondo a cui
siamo chiamati a rispondere è: fino a che punto noi credenti dovremmo auspicare
un regime politico che limiti per legge l’esercizio delle libertà individuali,
fossero anche libertà di peccare?
Rispondere a questa domanda
non è facile, ma proprio per questo motivo diventa urgente per noi accertarci
della piattaforma teologica entro cui
tentiamo di dare una risposta.
Nel popolo d’Israele, il
popolo del Patto, la questione della libertà individuale di poter peccare non
esisteva proprio. Nel popolo di Dio il peccato individuale diveniva
automaticamente peccato di tutto popolo, e per questo lo contaminava. Vigeva
dunque forte il monito: “…non si trovi in
mezzo a te chi…” (Deut 17:2-5; 18;10-12) oppure “…così toglierai il male di mezzo a te…” (Deut 22:21.24). L’esempio
classico è probabilmente quello descritto in Giosuè al capitolo 7, in cui Acan,
per un suo peccato personale, diviene responsabile di aver contaminato tutto il
popolo di un peccato di interdetto (Gios 7:13) e per questo motivo viene ucciso
con tutta la sua famiglia. Acan non poteva certo appellarsi alla sua libertà personale
di commettere peccati dei quali avrebbe individualmente risposto davanti a Dio.
No, la sua colpa era la colpa di tutto il popolo.
Possiamo noi applicare questi
principi oggi? Il peccato che il non credente compie, nella sua libertà
individuale di disobbedire a Dio, trasmette una colpa a tutti gli altri?
La risposta, da ciò che mi è
dato di capire dalla Scrittura, è no. Questo principio, semmai, è valido all’interno della Chiesa, dove la palese
disobbedienza al Signore deve essere sanzionata. Alla Chiesa di Tiatiri viene
rimproverato il fatto che “tollerava” Iezabel (Ap 2:20). La Chiesa non può
“tollerare” al suo interno la libertà
individuale di peccare. Ma è lecito estendere questo principio fuori dalla Chiesa?
È qui che salta fuori
l’importanza della piattaforma teologica.
Per la Chiesa Cattolica la distinzione tra Chiesa e mondo è molto meno
demarcata rispetto a quella che noi cristiani evangelici normalmente abbiamo.
Per il Cattolicesimo non esiste di fatto, là
fuori, un mondo perduto, separato da Dio e distinto dal popolo di Dio. È
per questo motivo che tende ad applicare là
fuori norme che hanno un senso all’interno
della Chiesa, non al suo esterno. Per
contro ritengo che si debba fare estrema attenzione nell’evitare di applicare all’esterno della Chiesa normative che
sono di stretta pertinenza della vita all’interno
della Chiesa, di coloro cioè che sono entrati nel Nuovo Patto in Cristo Gesù.
Dunque, se siamo d’accordo
nel rifiutare quella piattaforma
teologica che prevede una realizzazione del Regno di Dio attraverso
l’influenza che la Chiesa esercita nella società, dovremmo, a mio giudizio,
affrontare argomenti come i registri di convivenza o le unioni di coppie gay in
modo diverso. Per cui, pur affermando senza equivoci che l’omosessualità è un
peccato, dovremmo riconoscere ad uno Stato laico il diritto di legiferare a
tutela di chi, nella sua libertà (…di
peccare…) decide di convivere con una persona del suo stesso sesso.
È mio convincimento che il
ruolo della Chiesa non sia quello di impegnarsi a veder applicate normative più
o meno restrittive, volte a veder garantiti canoni di condotta morale adeguati
alla nostra fede, quanto piuttosto quello di annunciare Cristo risorto. Questa
affermazione, tacciabile magari di esprimere uno stucchevole e banale enunciato
di principio, una sorta di “rifugio nel privato” per non sporcarci le mani nell’impegno
civile, vuole invece essere l’esatto contrario. Il nostro desiderio è infatti
quello di vedere uomini e donne che “camminano in novità di vita”, in ogni
ambito della propria condotta etica e morale, perché trasformati nel loro cuore
dalla grazia di Dio. Uomini e donne trasformati nel cuore, quelli sì che
saranno sale nella società, capaci di incidere su di essa, e al limite anche
trasformarla radicalmente.
La predicazione di Cristo
cambia davvero la società perché agisce come chi estirpa una pianta alla radice.
Impegnarsi invece come Chiesa a veder stabilite normative giuridiche consone ai
nostri canoni morali equivale a impegnarsi a tagliarne le foglie esterne.
Nicola Berretta (Edizioni GBU)
Nicola Berretta (Edizioni GBU)
Nessun commento:
Posta un commento