Lunedì letterario del 22 Settembre 2014
Stefano Giannatempo, Il vangelo secondo Tolkien. Dalla teologia pop alla terra di mezzo, Claudiana, Torino, pp. 112, 11,50 €, Collana Nostro Tempo
(Valerio Bernardi)
Da qualche
anno l’editrice Claudiana si è impegnata nella pubblicazione di una serie di
testi dedicati alla cosiddetta teologia
pop, ovvero al tentativo di trasformare alcuni fenomeni della cultura pop
in riflessioni e contenuti teologici per gli evangelici e per una maggiore
condivisione pubblica degli stessi. La collana era iniziata con i Simpson, era
passata per Harry Potter e, quest’anno, è approdata al Signore degli Anelli, la grande trilogia fantasy che ha ispirato,
negli ultimi anni anche la pluripremiata trilogia cinematografica. A guidarci
in questo “viaggio” è Stefano Giannatempo che ha pochi mesi fa pubblicato Il Vangelo secondo Tolkien. Dalla terra di
mezzo alla teologia pop.
Il testo è
frutto di una tesi presso la Facoltà Teologica Valdese ed è la continuazione
del lavoro che Giannatempo aveva già fatto quando si era laureato in
letteratura comparata. L’A. inizia subito cercando di mostrare come il testo di
Tolkien abbia diversi addentellati con il messaggio del Vangelo, facendo una
divisione in cui proprio Il Signore degli
Anelli, diventa il Vangelo, perché è il seguito sia del Silmarillon (mai finito, ma che può
essere considerato una sorta di Genesi)
sia dell’Hobbit. Proprio per questo
si cerca nella poderosa opera di Tolkien alcuni dei messaggi chiave che
possono, pur nella metafora della storia, coincidere con il Vangelo, ricordando
come sia Tolkien che il suo amico C.S. Lewis, ritenessero che le storie siano
delle metafore che servono a veicolare, tramite la narrazione, importanti
messaggi. La fede di Tolkien, quindi, nonostante sia celata dall’affascinante
racconto, è sempre presente nella sua opera e, in fin dei conti, il romanzo può
essere letto come una gigantesca storia della salvezza, dove l’ultima parte, racconta
della restaurazione del mondo e la figura di Aragorn diventa simile a quella di
Cristo, mentre in Ganldalf (secondo Giannatempo) abbiamo alcune delle facoltà
del divino e di Cristo stesso (la Risurrezione, ad esempio). Il testo è
piuttosto ricco e, pertanto, quanto è affrontato nel libro proposto copre solo
una minima parte delle tematiche “religiose” presenti nell’opera.
Nella
seconda parte del saggio, invece, la discussione si muove dall’opera
tolkieniana (da cui si ricava una sorta di “quadrato interpretativo” di tipo
pastorale) all’utilizzo della cosiddetta teologia pop nell’ambito pastorale.
Giannatempo si chiede che rapporto ci può essere tra la predicazione del testo
biblico e i romanzi tolkieniani. Mettendo tra parentesi le questioni
storico-critiche e apprezzando la letterarietà del racconto tolkieniano, la
proposta della seconda parte del testo è quella di adoperare le strutture
letterarie di Tolkien ed alcune sue tematiche e applicarle alla predicazione. I
racconti di Tolkien ci fanno ripensare a come anche il testo biblico sia una
grande narrazione e come la narrazione sia un veicolo più intellegibile per
l’uomo moderno (soprattutto nella forma del fantasy) di quanto siano gli
approcci “scientifici” alla Scrittura. Pertanto la conclusione dell’A. è che la
lettura di Tolkien, come di altre opere letterarie che richiamano in esse la
presenza del divino, può servire soprattutto per una diversa comunicazione del
messaggio biblico più adatto ai tempi. Si tratta dell’applicazione del
principio della teologia pop ad uno scrittore che non pensava sicuramente di
esserlo, data la sua accademicità e la sua riservatezza.
Cosa dire
del testo? Il libro è ben scritto, ma risente di alcuni limiti forse dovuti
anche alla ristrettezza in cui è stato obbligato. Nel testo, infatti, è quasi
del tutto ignorata la bibliografia anglosassone su Tolkien: scrivere
dell’autore inglese senza tenere conto almeno di quanto essenzialmente è stato
scritto anche da un punto di vista teologico dagli anglosassoni, è piuttosto
limitativo. Lo spazio che è dato all’analisi teologica, per esempio, fa sì che
figure centrali come quella di Frodo all’interno del testo, siano quasi del
tutto ignorate e si accenna solamente alla positiva teodicea proposta dall’A.
Sarebbe anche stato il caso cercare di spendere qualche parola nel comprendere
il cattolicesimo di Tolkien e il contesto storico in cui il romanzo si è
sviluppato. La parte pastorale, a nostro avviso, invece, è quella più
interessante, anche se, a parte gli esempi di eventuali sermoni che possono
scaturire da una lettura del Signore
degli anelli, si poteva cercare anche di comprendere come si potesse
costruire, ad esempio, un discorso sul male partendo dall’opera tolkieniana che
fosse accessibile a un pubblico laico e appassionato dell’opera. Nonostante
questi appunti, il libro rimane interessante da leggere e offre interessanti
spunti per una teologia che non rimanga sempre “ingessata” nel suo linguaggio
specifico, rischiando di non comunicare il messaggio al grande pubblico.
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