di Daniele Mangiola
«...quando
uscirono in cortile con le prime luci, trovarono tutto il vicinato davanti al
pollaio, a baloccarsi con l'angelo, senza la minima devozione e a gettargli
cose da mangiare dai rombi della rete metallica, come se non fosse una creatura
sovrannaturale ma un animale da circo».
Tra
le centinaia di pagine dei suoi libri che hanno modellato e indirizzato il mio
amore per la letteratura, mi piace scegliere oggi per ricordarlo quelle poche
di Un signore molto vecchio con certe ali
enormi, breve racconto del 1968.
Dopo
lunghi giorni di pioggia, Pelayo ed Elisenda si trovano in cortile un vecchio
angelo spennato e malconcio dal linguaggio incomprensibile. Con poca pratica di
queste cose decidono di alloggiarlo tra gli altri pennuti, nel pollaio.
Giornalista
per sempre, nel cuore, nell'anima e nella penna, Marquez ha raccontato un mondo
dell'uomo in cui il sovrannaturale non esiste: angelico e demoniaco, miracolo e
prodigio intridono il quotidiano al punto da farne parte, senza soluzione di
continuità.
È
giusto per ripagarsi del fastidio per il trambusto provocato dalla folla di
gente che accalca, che i coniugi mettono a pagamento l'accesso al pollaio, non
certo compunti dalla devozione per questo residuo di cielo che si ritrovano in
cortile.
E
la gente poi abbandona in fretta il pellegrinaggio quando il circo porta in
paese il caso triste della ragazza trasformata in ragno da un fulmine per aver
disobbedito ai genitori.
È
un altro mondo questo, di un altro tempo che non è il nostro moderno, scisso,
schizofrenico, in cui il miracolo giunge, se giunge, da estraneo, da un
universo parallelo, ma più spesso è soltanto sogno, o burla.
Quello stesso tipo di mondo di cui fa parte gente come Manoah e sua moglie (Giudici cap. 13) che incontrano ripetutamente l'angelo con cui discutono del destino di Sansone. Scoprire di aver parlato con l'angelo dell'Eterno suscita in loro soggezione e timore, non certo dubbi sulla propria sanità mentale.
Certo,
un tipo di coppia diverso, quello di Pelayo ed Elisenda, che sopportano per
anni la presenza dell'angelo decrepito ma nel frattempo grazie a lui si
arricchiscono. E ristrutturano la casa, investono in commerci, l'unica cosa che
però lasciano a disfarsi è proprio il pollaio dove sta il vecchio alato, tra le
pulci e i resti di mangime.
E
chissà quante volte giunge il prodigio nella nostra di normalità, non
riconosciuto ci si rannicchia accanto, insistente, determinato a benedirci, tra
le nostre proteste, mentre intanto prosperiamo. E quante volte ci avvediamo
solo dopo di quali meravigliose cure siamo stati oggetto.
Con
questa nostra mente che raziona, divide in parti la realtà, ci viene ormai
difficile accogliere il miracolo, la benedizione, senza sporcarli con il
sospetto, terrorizzati come siamo che qualcuno, non sia mai, ci bolli con il
marchio infamante dell'ingenuità.
E
pertanto è questa nostra stessa realtà che Gabriel Garcìa Marquez ha raccontato
(non quella alternativa del realismo magico, come lo chiamano i critici) con
l'occhio impassibile del cronista, per farci venire davvero il dubbio che sia
il nostro sguardo ad essersi corrotto al punto da non riuscire più a vedere
l'angelo che giunge sulla nostra strada.
Dimenticato
dalla curiosità della gente, il signore molto vecchio con le ali si trascina
per la casa mentre il bimbo cresce giocando con lui come con il cane domestico.
Gli
anni passano e un inverno l'angelo, giunto al termine della sua decrepitezza,
sembra soccombere al proprio disfacimento. Con la primavera, però, nuove penne
sembrano spuntare sulle vecchie ali e lo si sorprende aggirarsi per il cortile
nel tentativo di alzarsi in volo.
È
con sollievo che un giorno Elisenda lo vede dalla finestra della cucina,
allontanarsi sorvolando i tetti del villaggio, liberandola per sempre dalla
presenza ingombrante del miracolo.
«...perché allora non era
ormai più un impiccio nella sua vita, ma un punto immaginario nell'orizzonte
del mare».Daniele Mangiola
(DiRS-GBU)
Nessun commento:
Posta un commento