Martha C. Nussbaum, Libertà di coscienza e di religione,
Bologna, il Mulino, 2009, pp. 82
Martha
Nussbaum, docente di Law and Ethics presso l'Università di Chicago e esperta di
filosofia greca e latina, è stata nominata nel 2008 tra i cento pensatori più importanti
dalla rivista Foreign Policy. Negli anni Ottanta ha iniziato una collaborazione
con Amartya Sen che ha portato insieme ad altri ricercatori alla fondazione,
nel 2003, della Human Development and Capability Association.
Il clima
di paura permea la società, forse oggi più che nel 2009, anno di pubblicazione
in Italia di questo pamphlet, e la diversità religiosa, per la sua
irriducibilità, è quella che viene temuta più di ogni altra. L'autrice inizia
con una dichiarazione d'intenti: per evitare che la paura ci spinga a
comportamenti errati bisogna rinforzare la tradizione di rispetto della libertà
di coscienza anche quando questa richiede l'esonero da leggi generali,
mantenendo “l'interesse imperativo dello stato” come unico limite. La libertà
religiosa non è compatibile con un'istituzionalizzazione del fenomeno
religioso, con la creazione di un'ortodossia religiosa, una forma che crei un
discrimine tra norma ed eccezione.
Il
contesto di riferimento del discorso dell’autrice sono gli Stati Uniti, ma nei
due principi descritti riscontriamo problematiche comuni al nostro paese, con
l'aggravante dell'assenza di una legge sulla libertà di religione e con la
“tradizione cattolica” che di per sé si configura come ortodossia.
L'autrice
parte dal mito fondatore della società americana, i pellegrini del Mayflower in
fuga dalle persecuzioni religiose in patria e dalla concezione di libertà
religiosa che spinse i costituenti a
iscrivere nel Primo Emendamento il seguente statuto: “Il Congresso non
potrà emanare alcuna legge a favore del riconoscimento ufficiale di qualsiasi
religione, o per proibirne il libero esercizio”.
Roger
Williams sosteneva, nel suo La sanguinaria dottrina della persecuzione per
causa di coscienza del 1644, che la definizione di una religione ortodossa
non solo è lesiva per chi non professa quella fede ma, anche, che la libertà di
coscienza richiede uno spazio per essere dispiegata e lo Stato deve garantire e
proteggere questo spazio in maniera eguale ed imparziale.
Il
liberalismo classico stabilisce che la libertà religiosa è equa e imparziale
quando non ci sono leggi che penalizzano credenze e pratiche religiose e che,
le leggi, per essere imparziali, non devono punire determinate pratiche solo
perché recanti una valenza religiosa (che sia la macellazione degli animali o
l'utilizzo del latino). L'imparzialità è il bene da tutelare e questo implica
che non debbano esistere eccezioni o speciali dispense per motivi religiosi.
Un'altra
corrente, di cui la Nussbaum non ci da altre indicazioni, non si accontenta
dell'imparzialità lockeana perché le leggi, in democrazia, sono figlie della
maggioranza, il che non è indice di ostilità nei confronti delle minoranze ma
comporta che tante questioni vengano trascurate. Questa tradizione invita a concedere
deroghe speciali come quella accordata da George Washington ai quaccheri
riguardo al servizio di leva o alla protezione del segreto della confessione.
Le
tensioni tra le due correnti negli Stati Uniti sono state ricorrenti ma la
possibilità dei singoli stati di riequilibrare, con leggi protettive nei
confronti di determinate pratiche religiose, le sentenze restrittive della
Corte Suprema ha permesso di mantenere un certo equilibrio. È in questo
frangente che l'autrice lancia una stoccata all'Europa riferendosi chiaramente
alla Francia nella sua gestione lockeana del religioso.
Il
riconoscimento di una religione di stato viola analogamente l'uguaglianza dei
cittadini dinanzi alla società poiché crea, come sosteneva Madison, un in-group e un out-group.
La
Nussbaum analizza tre casi specifici: la preghiera a scuola, gli allestimenti
pubblici e il finanziamento statale a scuole religiose.
Questi
casi le permettono di centrare l'obiettivo che non deve essere la totale
separazione tra Stato e chiesa, di cui, secondo l’autrice, non si trova traccia
nella costituzione americana né, tanto meno, è augurabile in quanto impossibile
da realizzare, bensì deve essere la ricerca del livello entro il quale tale
separazione è positiva.
L'autrice
prosegue individuando due avversari di questa concezione di libertà di
coscienza: l'establishmentarian e l'antireligioso.
L'establishmentarian
è colui convinto che solo
definendo un’ortodossia, il “chi siamo”,
le origini e i valori, si può sopravvivere nel caos di tante religioni,
si può mantenere l'ordine e la sicurezza pubblica. Il diverso potrà vivere in
pace ma rimarrà diverso, non entrerà mai nello spazio pubblico, ad eguali
condizioni, apparterrà all'out-group.
L'antireligioso
invece disapprova in toto la religione nello spazio pubblico e la
religione di per sé come “una reliquia di un'era prescientifica, foriera di
nient'altro che guai” forte di una razionalità laica e scientifica.
L'antireligioso tende ad avere due pesi e due misure: la religione della
maggioranza, in quanto parte della cultura dominante, non crea problemi mentre
le richieste delle minoranze vengono mal tollerate. Inoltre l'antireligioso,
concependo solo la propria visione del mondo, non ha rispetto per la libertà di
coscienza e per i compromessi che lo stato fa per garantirla.
Questa
lezione americana alla convivenza tra credi diversi ha tra i suoi limiti la
semplificazione estrema di un problema annoso, tanto più nei paesi di civil
law, dove la definizione dello standard, dell'ortodossia, è insita nella
forma giuridica oltre che nella tradizione storica: la nascita dello stato
moderno è riconducibile alla fine delle guerre di religione e al cuius regio
eius religio della pace di Augusta. E' interessante tuttavia constatare che
i nemici della pari dignità e proiezione dei diversi credi nella sfera pubblica
siano gli stessi da entrambe le sponde dell'Atlantico: la ricerca dell'identità
nelle radici storico-religiose e l'ateismo alla Odifreddi o Stephen Hawking.
Quale
dovrebbe essere la nostra posizione? Anche se come morale siamo più vicini
all'ortodossia cattolica che a tante altre minoranze, dovremmo perseguire la
strada di un riconoscimento del fenomeno religioso al di là della vicinanza al
paradigma cristiano giudaico, in quanto diritto del singolo e del gruppo non
come benevola concessione. Dovremmo
tornare a far sentire la nostra voce in favore della tanto attesa legge sulla
libertà religiosa per uscire da uno scenario a più livelli di discriminazione,
con il Concordato che fa del Cattolicesimo la Religione, i culti che hanno
regolato i rapporti con lo stato attraverso le Intese religioni di serie B; il
resto una massa indistinta.
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