J.
Attali, Dizionario innamorato dell'ebraismo, Roma, Fazi, 2013
Recensione
di: Daniele Mangiola
All'inizio
l'appellativo “cristiani” non aveva nulla di onorevole, era un
modo derisorio con cui si indicavano quei gruppi che professavano e
predicavano del fatto che il Messia fosse finalmente giunto. Erano
quelli fissati con questa storia del Cristo (Messia, in greco), i
cristiani. Niente più.
Allo
stesso modo “marrani”, che significa porci, in spagnolo, erano
quegli ebrei che accettavano la conversione obbligatoria al
cristianesimo, nel XV secolo, ma di nascosto rimanevano ebrei e
continuavano a vivere secondo gli insegnamenti della Torah: bisognava
scovarli, farli uscire allo scoperto, questi marrani, poi torturarli,
farli confessare, poi ucciderli. In seguito “marrani” saranno
tutti quelli discendenti dagli ebrei convertiti (convinti, forzati,
fasulli e tutte le combinazioni possibili) di Spagna.
Di
storie di marrani che hanno influenzato in ogni modo la politica, la
scienza, la cultura, la storia, la società ad ogni latitudine in
ogni epoca successiva fino ai giorni nostri, sono piene le pagine del
Dizionario innamorato dell'ebraismo, di Jacques Attali, edito in
Italia nel 2013 da Fazi.
Attali,
nato ebreo d'Algeria e poi costretto con la famiglia ad abbandonare
la terra di nascita alla volta della Francia negli anni 50.
Considerato oggi uno degli intellettuali più influenti del mondo,
economista prestigioso, è stato più volte consulente dei presidenti
della repubblica francesi, Mitterand, prima, Sarkozy poi.
Del
giudaismo di cui si dichiara innamorato, l'A. dice: «Amo il modo in
cui mi fa riflettere, come molte altre grandi cosmogonie, sulle
grandi costanti del mondo; amo anche le vicende di tanti personaggi
della Bibbia e della storia, fedeli alla propria fede anche quando
vengono costretti ad abbandonarla; amo anche quelle piccole storielle
che sono dette “ebraiche”, illuminanti autoderisioni. Infine, o
magari soprattutto, apprezzo nel giudaismo che esso non sia affatto
geloso, ma tolleri molti altri amori». Costantemente impegnato ad
adattarsi alla cultura ospitante, ad integrarsi e spesso a
mimetizzarvisi dentro, eppur sempre con l'obiettivo preciso di non
sciogliersi e disperdersi in questa, quale che sia stata, accogliente
oppure ostile, il giudaismo ha maturato una modalità di essere
plastico e dinamico, continuamente mutevole eppur sempre intensamente
uguale a se stesso col passare dei secoli.
Il
testo di Attali è un viaggio affascinante attraverso la storia,
durante il quale si incontrano nomi di personaggi (Luria, Abrabanel,
Perutz), di opere (Zohar, Guida dei perplessi), di figure bibliche
(Abele, Mikal, Gesù) e il cammino dell'umanità si rivela al lettore
da un diverso punto di vista.
Ad
ognuna delle diverse terribili prove della storia, destinato ogni
volta all'estinzione, l'ebraismo risorge miracolosamente dalle
proprie ceneri.
«Io
non ho scritto questo libro da credente o da ateo»
scrive l'A. ma
«la
Bibbia è l’inevitabile matrice dell’ebraismo»
e dunque è onnipresente tra le pagine del Dizionario. È
affascinante osservare il rapporto di familiarità che gli ebrei
hanno con i testi sacri, l'audacia con la
quale li esplorano alla ricerca di nuovi orizzonti di senso. Così la
riflessione sul tempo che si legge alla voce «Qoelet», i ritratti
di Mikal, di Abele, offrono degli spunti di meditazione estremamente
interessanti. «Gesù
è un grandissimo ebreo. Chi, tra i cristiani, accetta questo fatto?
Chi, tra gli ebrei, se ne ricorda?».
La
forma del dizionario permette una lettura rilassata in quanto
ciascuna voce è autonoma rispetto alle altre, e può essere letta
singolarmente ma è difficile resistere al fascino di leggere l'opera
per intero, il talento di scrittore di Attali è decisamente elevato.
In
quanto dizionario «innamorato» non ha la pretesa di raccontare le
cose più importanti ma semplicemente quelle che più stanno a cuore
all'A. legate alla sua esperienza di vita. È dunque un'opera il cui
dichiarato fine è divulgativo, e d'altronde è proprio come
divulgatore che il talento di Attali brilla in modo particolare.
Interessante
anche un'altra idea che scorre e si rivela qui e là per il testo,
sulla fondamentale importanza che hanno avuto gli ebrei per la
storia economica del mondo e degli stati e di come l'idea del tempo e
la responsabilità umana sulle cose del mondo tipica dell'ebraismo
sia stata determinante per l'economia moderna: «Per
gli altri due monoteismi, il futuro appartiene solo a Dio, l’uomo
non può farne commercio, ed essi rifiutano di far pagare un tasso
d’interesse. Ne deducono che il mestiere del banchiere è una
profanazione della legge divina».
Al contrario invece è importante che l'uomo impari ad amministrare
le proprie risorse nel tempo in base all'importanza e all'urgenza ed
è su questo tipo di valutazione responsabile che si fonda il
principio del tasso d'interesse.
Essere
innamorati dell'ebraismo è oggi una cosa impopolare. Si levano da
ogni parte accuse contro questa cultura che, a quanto pare, ha
deturpato l'economia ma anche il cinema, la politica internazionale
ma anche l'agricoltura. Quasi che essere ebreo significhi in
automatico condividere la politica territoriale dello Stato
d'Israele, che credere nella promessa di una Terra significhi per
forza ragionare in termini di dominio e possesso e violenta
repressione. E invece, avverte Attali, questo muro costruito per
difendere il diritto all'esistenza dello stato politico di Israele
sta per trasformarlo semplicemente nel più grande ghetto della
storia e nient'altro.
Delinea,
alla voce «Palestina»
quale sia la sua idea di futuro per quella terra inquieta, spera nel
riconoscimento di uno stato palestinese, immagina un ideale futuro in
cui gli stati del medioriente si uniscono alla maniera degli stati
europei. Guardare alla storia significa anche guardare alla continua rivelazione di sé da parte di Dio all'uomo e la faticosa e sempre inquieta storia di Israele è la testimonianza di questo continuo lavorìo passo passo sempre accanto alla Parola di Dio, alla Torah e alle voci potenti, proiettate verso l'avvenire, dei profeti. «Come se l’ebraismo fosse in realtà l’infanzia dell’umanità, primo sguardo meravigliato sul mondo, prima forma di fiducia nel Padre. Infanzia dell’umanità che bisogna perciò proteggere perché essa porta, come tutte le infanzie, la memoria delle vite precedenti e la promessa di fragili futuri».
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