Già diversi mesi fa abbiamo proposto questa recensione sul testo del filosofo americano Thomas Nagel. Con piacere la ripubblichiamo, in occasione dell'uscita del volume in lingua italiana.
Sul dibattito e sulla questione del
rapporto tra scienza e fede e sulle conclusioni che alcuni naturalisti neo‒darwiniani
traggono dalla teoria dell’evoluzione si è parlato già molto in questa rubrica,
sempre scrivendo o su quanto affermavano gli atei (abbiamo parlato di Dawkins,
Odifreddi, di quanto scritto in Italia dai collaboratori dalla rivista Micromega), sia dal punto di vista dei
credenti (McGrath e altri). Non abbiamo mai accennato, invece, che il
riduzionismo naturalistico, pacificamente accettato da Dawkins e i suoi
discepoli (Odifreddi e Pievani in Italia) non sempre ottiene lo stesso successo
nel campo filosofico da parte di coloro che non sono credenti. Lasciando da
parte le considerazioni di Stephen J. Gould in merito all’applicazione filosofica
del neo‒darwinismo fatta da Dawkins o di quanto affermato da studiosi e
scienziati come Piatelli Palmarini e Fodor ne Gli errori di Darwin, vogliamo soffermarci invece, su un saggio più
propriamente filosofico scritto un paio di anni fa dal filosofo analitico
Thomas Nagel e che si intitola Mente e cosmo. Perché
la concezione neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa, pubblicato in italiano quest'anno da Cortina.
Nagel,
filosofo che normalmente si occupa di filosofia morale e politica, ha voluto
entrare con questo testo nel campo della metafisica (dove in realtà si era già
cimentato parlando del nesso corpo‒mente), valutando il «sistema filosofico»
(tale deve essere considerato dei neo‒darwiniani—la distinzione che Nagel fa
tra loro e lo stesso Darwin è la stessa che viene effettuata, per esempio da
Alistair McGrath in Dio e l’evoluzione)
sulla base di alcune questioni che si ritengono fondamentali e che, a parere
del pensatore americano, mettono in crisi tale visione del mondo. Dopo aver
introdotto il testo affermando che il darwinismo non può essere considerato una
filosofia, ma una teoria scientifica, e ribadito che, rispetto alla questione
del divino lui si schiera dalla parte degli agnostici e che il metodo
naturalista proposto dai neo‒darwiniani non coglie tutta la realtà ed ha alcune
fallacie di tipo logico, in quattro capitoli scritti con il tipico rigore dei
filosofi analitici (le note sono veramente poche nel testo perché il tentativo
è di dire tutto in una maniera chiara e inattaccabile) affronta quattro diversi
argomenti: la questione del rapporto tra riduzionismo e ordine naturale, il
problema dell’esistenza di una coscienza che trascenda il dato meramente
materiale, la conoscenza ed il valore delle azioni morali.
Il testo
parte giustamente dal caposaldo dei neo‒darwiniani: l’idea che tutto quanto
accade possa essere spiegato (se non adesso, in un futuro piuttosto indefinito)
dall’ordine naturale e da come si è sviluppata la natura durante il processo
evolutivo. Nagel, pur affermando di credere che ci sia stato un progresso
evolutivo, ritiene che tutto questo non possa spiegare pienamente cosa accade
nella natura ed afferma che risulta piuttosto difficile ed arduo e che
talvolta, per ipotizzare una spiegazione ci si affida troppo al caso ed alla
questione dell’adattamento. Il filosofo cerca anche di mostrare come le leggi
della fisica (anche nel campo quantistico) seguano un ordine diverso da quello
implicito nell’ordine neo‒evoluzionistico e che, proprio per questo motivo, non
possiamo parlare di un preciso, attendibile e vero ordine della natura seguendo
il dettato neo‒evoluzionista.
Le
obiezioni dello studioso americano diventano ancora più pressanti nei capitoli
successivi. Quando inizia a parlare della coscienza, si oppone in maniera
chiara all’idea che mente e cervello possano essere perfettamente coincidenti,
ritenendo che i processi decisionali presenti nella nostra coscienza (ritorna
all’uso tradizionale di questo termine quasi riprendendo il ruolo che la coscienza
aveva in Hegel, ma tenendo ben presente quanto affermavano Popper ed Eccles
negli anni 1970) non possano essere spiegati con semplici impulsi elettrici
provenienti dai nostri impianti neuronali, ma che ci sia una sorta di
trascendenza dell’essere umano e del suo sviluppo.
Anche la
volontà di conoscere, di ampliare i propri orizzonti culturali non può essere
vista come un semplice fatto adattativo spinto da circostanze naturali e
puramente casuali. La conoscenza è un procedimento complesso che ha a che fare
con diversi fattori che non possono essere spiegati solo dalle scelte più
vantaggiose e che portano ad azioni che a lungo andare possono essere viste
come interessate, ma talvolta vi sono maniere di conoscere apparentemente
disinteressate.
Proprio
per questo motivo, Nagel ritiene che anche l’azione morale travalichi le
costatazioni del neo‒darwinismo. In una logica riduzionista a cosa servirebbero
le azioni disinteressante, quelle che vengono fatte a prescindere dai meri
calcoli utilitaristici. Il filosofo non arriva a negare la possibilità di una
morale basata su assunti neo‒darwiniani, ma pensa che una tale morale non
porterebbe gli uomini a comportarsi in maniera tale da agire in maniera
efficace nel mondo.
Questi gli
argomenti portati avanti da Nagel. Cosa dire del testo? Il libro porta avanti argomenti che, a nostro parere,
sono efficaci da un punto di vista filosofico e mostrano che il neo‒darwinismo,
oltre che da un punto di vista teologico può essere attaccato anche da un punto
di vista filosofico, mostrandone le sue debolezze. L’approccio di Nagel è
inoltre interessante perché non si tratta di un filosofo «scettico» sulle
possibilità che vengono date dalla conoscenza scientifica, ma che crede fortemente
che la scienza possa dare un orizzonte di senso. Per questi motivi quindi
riteniamo quello di Nagel uno dei migliori saggi scritti sull’argomento
affiancabile a quanto Alvin Plantinga (da un punto vista teistico) ha affermato
in Where the Conflict Really Lies e nel suo ultimo, e più significativo, Knowledge and Christian Belief.
Valerio Bernardi - DIRS GBU
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