lunedì 5 gennaio 2015

Imparare dagli “altri”

Imparare dagli "altri"
Uno degli scrittori di saggistica più interessanti dell’ultimo decennio è senza dubbio Jared Diamond. Nato come ornitologo, diventato docente di geografia ad UCLA, assurto alle cronache letterarie per il suo Armi, Acciaio e Malattie, in cui, in meno di 300 pagine traccia una storia millenaria dove si dimostra la superiorità “naturale” dell’Occidente, si è tuffato nel campo dell’antropologia comparata nel suo ultimo testo intitolato Il mondo fino a ieri. Che cosa possiamo imparare dalle società tradizionali?, edito in Italia nel 2013 da Einaudi.
Il testo di Diamond, dopo l’excursus storico del primo libro citato, dopo gli appelli ecologici di Collasso, vuole raccontare cosa succede (o cosa succedeva) nelle cosiddette culture d’interesse etnologico, profondamente cambiate oggi, ma che ancora (almeno in alcuni degli esempi riportati), mantengono delle usanze e delle tradizioni diverse da quelle dall’Occidente e da cui il nostro mondo potrebbe imparare (forse) qualcosa.
Si tratta, quindi, di un tentativo di antropologia comparata, che segue, benché sia moderno nell’impianto, la “vecchia” tradizione della storia degli studi di antropologia sociale in cui si “comparano” diverse civiltà per ricevere diverse informazioni. Una “differenza” tra gli studi di Tylor e Frazer (mi sto riferendo a Alle origini della cultura e al famoso Ramo d’oro) e quello di Diamond è che l’autore californiano parte dalle proprie conoscenze della Nuova Guinea, terra dove, accanto alle sue ricerche ornitologiche, ha potuto fare la sua esperienza “sul campo” per poi aggiungere conoscenze derivanti da altre fonti e raccontare della sua esperienza come occidentale. Il testo parte, come sempre, da un’immagine piuttosto scontata oggi, quella di un aeroporto (in Nuova Guinea) dove s’incontrano persone profondamente differenti tra loro, ma accomunate dalla facilità del viaggio e della comunicazione che, solo quaranta anni fa, erano molto più ardui da fare.
Per l’A., la differenza fondamentale tra la “nostra” civiltà e quella “altra” deriva dalle fondamenta dello Stato e dello scambio commerciale. Diamond, infatti, ritiene che lo Stato moderno sia un’invenzione tutta occidentale che ha una sua unicità ed una sua evoluzione che ha portato, talvolta, ad una gestione della società di tipo piuttosto impersonale ma efficiente e che ci ha permesso di vivere bene. Partendo da questa costatazione s’inizia una disamina comparativa che parte dalle istituzioni politiche. Lo studioso americano, che non è per niente contrario alla solidità dell’istituzione statale, parlando delle organizzazioni non statali, ne rileva i piccoli numeri ed i rapporti clanici e personali. Questo permette lo studio di passare alla considerazione di due aspetti importanti della vita sociale: quello della guerra e quello del “far” giustizia. Negli esempi riportati da Diamond, al contrario di quanto alcuni studiosi pensano, la guerra è più minacciosa e deleteria in un’istituzione non statale che in quella dello Stato che, avendo lo scopo di proteggere i suoi cittadini. Per dimostrare tutto ciò, è usata un’analisi di tipo percentuale e quantitativo che mostra che alcuni conflitti avvenuti tra diverse etnie in Nuova Guinea percentualmente siano stati più deleteri avvenuti in Occidente, compresi i conflitti mondiali. Anche sulla giustizia ci sono dei pro e dei contro. L’A. mostra come i rapporti personali presenti in un mondo non statale possano portare sia ad un’etica della riconciliazione (che non preveda la punizione per chi ha commesso il delitto) che ad una vendetta continua tra clan che aumenta la violenza.
L’A., nel breve testo (come da lui affermato, e come sostanzialmente è, visto i numerosi argomenti trattati), si sofferma anche sugli aspetti dell’economia di mercato e su come essa sia superflua in economie che hanno un raggio di azione limitato e non usano il denaro in senso tradizionale. Interessanti sono poi i capitoli dedicati all’allevamento dei figli e al trattamento degli anziani. Diamond, dopo aver descritto cosa avviene a tal proposito nelle nostre società, mostra alcune alternative, che vanno da quelle delle popolazioni nomadi che hanno un’infanzia molto più breve della nostra a quelle delle popolazioni più sedentarie, dove, comunque, la percezione del rischio per i giovani è minore che nelle nostre società. Sono descritti anche i trattamenti nei confronti dei più anziani che vanno dall’eutanasia al trattamento con profondo rispetto dei (pochi) sopravvissuti ad una certa età.
Il testo si sofferma poi sulla percezione del pericolo (chiamata paranoia costruttiva), sulla morte, sul senso religioso, sulle malattie, sul multilinguismo e sull’alimentazione. Tra i numerosi argomenti vale la pena soffermarsi su quello concernente la religione. Diamond fa un discorso puramente antropologico e non entra nel campo della fede dell’individuo, ma cerca, seguendo in ciò le definizioni che di religione hanno dato William James e Clifford Geertz (ma citandone diverse altre con l’ammissione che definire la religione è cosa difficile) di analizzarne gli aspetti sociali. Il limite di quest’analisi deriva da una scarsa conoscenza della diffusione delle grandi religioni e, talvolta, l’A. sembra confondere animismi di vario tipo, rassicurazioni che vengono dal legame con il divino nei confronti dei pericoli, da quello che è il modello delle grandi religioni monoteiste.
Lo studio, come sempre accade ai testi di Diamond, si legge con piacere e l’A. è capace di trascinarti nelle sue disquisizioni, quasi convincendoti che ciò che propugna è piuttosto naturale. Allo stesso tempo diverse sono le obiezioni che possono essere fatte al testo. La prima riguarda la comparazione, piuttosto semplicistica e, talvolta, derivante da fonti terze che non sempre descrivono accuratamente ciò che avviene in una società diversa dalla nostra. Fare comparazione in un mondo complesso come il nostro appare impresa ardua e, forse, sarebbe stato meglio semplicemente descrivere ciò che accade “altrove”, per lasciare la valutazione finale al lettore. La seconda ha a che fare con lo sguardo troppo naturalistico. Più volte (ma questa è una critica che va fatta anche per gli altri testi di Diamond) l’A. sembra deporre a favore di una visione “naturale” e necessaria delle cose, dove sembra quasi che l’intervento umano non possa fare molto per cambiare le cose. Il rapporto uomo/natura o natura/cultura sembra essere sempre favorevole ad un certo meccanicismo e legge della necessità. Un’ultima critica poi va fatta all’idea “totalizzante” di poter trattare quasi tutto. Ne risultano deficitarii alcuni passaggi (come quello sulla religione) che rendono il testo discutibile. Nonostante queste critiche il testo rimane valido e la lettura piacevole.


                                                                                              Valerio Bernardi - DIRS GBU

Nessun commento:

Posta un commento