Imparare dagli "altri"
Uno degli
scrittori di saggistica più interessanti dell’ultimo decennio è senza dubbio
Jared Diamond. Nato come ornitologo, diventato docente di geografia ad UCLA,
assurto alle cronache letterarie per il suo Armi,
Acciaio e Malattie, in cui, in meno di 300 pagine traccia una storia
millenaria dove si dimostra la superiorità “naturale” dell’Occidente, si è
tuffato nel campo dell’antropologia comparata nel suo ultimo testo intitolato Il mondo fino a ieri. Che cosa possiamo
imparare dalle società tradizionali?, edito in Italia nel 2013 da Einaudi.
Il testo
di Diamond, dopo l’excursus storico
del primo libro citato, dopo gli appelli ecologici di Collasso, vuole raccontare cosa succede (o cosa succedeva) nelle
cosiddette culture d’interesse etnologico, profondamente cambiate oggi, ma che
ancora (almeno in alcuni degli esempi riportati), mantengono delle usanze e
delle tradizioni diverse da quelle dall’Occidente e da cui il nostro mondo
potrebbe imparare (forse) qualcosa.
Si tratta,
quindi, di un tentativo di antropologia comparata, che segue, benché sia
moderno nell’impianto, la “vecchia” tradizione della storia degli studi di
antropologia sociale in cui si “comparano” diverse civiltà per ricevere diverse
informazioni. Una “differenza” tra gli studi di Tylor e Frazer (mi sto
riferendo a Alle origini della cultura e
al famoso Ramo d’oro) e quello di
Diamond è che l’autore californiano parte dalle proprie conoscenze della Nuova
Guinea, terra dove, accanto alle sue ricerche ornitologiche, ha potuto fare la
sua esperienza “sul campo” per poi aggiungere conoscenze derivanti da altre
fonti e raccontare della sua esperienza come occidentale. Il testo parte, come
sempre, da un’immagine piuttosto scontata oggi, quella di un aeroporto (in
Nuova Guinea) dove s’incontrano persone profondamente differenti tra loro, ma
accomunate dalla facilità del viaggio e della comunicazione che, solo quaranta anni
fa, erano molto più ardui da fare.
Per l’A.,
la differenza fondamentale tra la “nostra” civiltà e quella “altra” deriva
dalle fondamenta dello Stato e dello scambio commerciale. Diamond, infatti,
ritiene che lo Stato moderno sia un’invenzione tutta occidentale che ha una sua
unicità ed una sua evoluzione che ha portato, talvolta, ad una gestione della
società di tipo piuttosto impersonale ma efficiente e che ci ha permesso di
vivere bene. Partendo da questa costatazione s’inizia una disamina comparativa
che parte dalle istituzioni politiche. Lo studioso americano, che non è per
niente contrario alla solidità dell’istituzione statale, parlando delle
organizzazioni non statali, ne rileva i piccoli numeri ed i rapporti clanici e
personali. Questo permette lo studio di passare alla considerazione di due
aspetti importanti della vita sociale: quello della guerra e quello del “far”
giustizia. Negli esempi riportati da Diamond, al contrario di quanto alcuni
studiosi pensano, la guerra è più minacciosa e deleteria in un’istituzione non
statale che in quella dello Stato che, avendo lo scopo di proteggere i suoi
cittadini. Per dimostrare tutto ciò, è usata un’analisi di tipo percentuale e
quantitativo che mostra che alcuni conflitti avvenuti tra diverse etnie in
Nuova Guinea percentualmente siano stati più deleteri avvenuti in Occidente,
compresi i conflitti mondiali. Anche sulla giustizia ci sono dei pro e dei
contro. L’A. mostra come i rapporti personali presenti in un mondo non statale
possano portare sia ad un’etica della riconciliazione (che non preveda la
punizione per chi ha commesso il delitto) che ad una vendetta continua tra clan
che aumenta la violenza.
L’A., nel
breve testo (come da lui affermato, e come sostanzialmente è, visto i numerosi
argomenti trattati), si sofferma anche sugli aspetti dell’economia di mercato e
su come essa sia superflua in economie che hanno un raggio di azione limitato e
non usano il denaro in senso tradizionale. Interessanti sono poi i capitoli dedicati
all’allevamento dei figli e al trattamento degli anziani. Diamond, dopo aver
descritto cosa avviene a tal proposito nelle nostre società, mostra alcune
alternative, che vanno da quelle delle popolazioni nomadi che hanno un’infanzia
molto più breve della nostra a quelle delle popolazioni più sedentarie, dove,
comunque, la percezione del rischio per i giovani è minore che nelle nostre
società. Sono descritti anche i trattamenti nei confronti dei più anziani che
vanno dall’eutanasia al trattamento con profondo rispetto dei (pochi)
sopravvissuti ad una certa età.
Il testo
si sofferma poi sulla percezione del pericolo (chiamata paranoia costruttiva),
sulla morte, sul senso religioso, sulle malattie, sul multilinguismo e
sull’alimentazione. Tra i numerosi argomenti vale la pena soffermarsi su quello
concernente la religione. Diamond fa un discorso puramente antropologico e non
entra nel campo della fede dell’individuo, ma cerca, seguendo in ciò le
definizioni che di religione hanno dato William James e Clifford Geertz (ma
citandone diverse altre con l’ammissione che definire la religione è cosa
difficile) di analizzarne gli aspetti sociali. Il limite di quest’analisi
deriva da una scarsa conoscenza della diffusione delle grandi religioni e,
talvolta, l’A. sembra confondere animismi di vario tipo, rassicurazioni che
vengono dal legame con il divino nei confronti dei pericoli, da quello che è il
modello delle grandi religioni monoteiste.
Lo studio,
come sempre accade ai testi di Diamond, si legge con piacere e l’A. è capace di
trascinarti nelle sue disquisizioni, quasi convincendoti che ciò che propugna è
piuttosto naturale. Allo stesso tempo diverse sono le obiezioni che possono
essere fatte al testo. La prima riguarda la comparazione, piuttosto
semplicistica e, talvolta, derivante da fonti terze che non sempre descrivono
accuratamente ciò che avviene in una società diversa dalla nostra. Fare
comparazione in un mondo complesso come il nostro appare impresa ardua e,
forse, sarebbe stato meglio semplicemente descrivere ciò che accade “altrove”,
per lasciare la valutazione finale al lettore. La seconda ha a che fare con lo
sguardo troppo naturalistico. Più volte (ma questa è una critica che va fatta
anche per gli altri testi di Diamond) l’A. sembra deporre a favore di una
visione “naturale” e necessaria delle cose, dove sembra quasi che l’intervento
umano non possa fare molto per cambiare le cose. Il rapporto uomo/natura o
natura/cultura sembra essere sempre favorevole ad un certo meccanicismo e legge
della necessità. Un’ultima critica poi va fatta all’idea “totalizzante” di
poter trattare quasi tutto. Ne risultano deficitarii alcuni passaggi (come
quello sulla religione) che rendono il testo discutibile. Nonostante queste
critiche il testo rimane valido e la lettura piacevole.
Valerio Bernardi - DIRS GBU
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