venerdì 23 dicembre 2011

NÉ POVERTÀ NÉ RICCHEZZA ALCUNE RIFLESSIONI SU CRISI ECONOMICA E VOLONTÀ DIVINA


Il 2011, anno che si sta chiudendo, è stato segnato da un’accelerazione della crisi economica mondiale, in particolar modo per la nostra nazione, l’Italia, che, proprio in occasione del suo centocinquantenario dalla nascita, ha vissuto uno degli anni più travagliati sia da un punto di vista economico, che da un punto di vista morale e sociale. Proprio per questo abbiamo pensato fosse opportuno riflettere e far riflettere su tale questione, sollecitando il mondo evangelico e non a confrontarsi chiaramente con problemi che coinvolgono scelte che hanno a che fare con il futuro (su questa terra) delle generazioni che verranno.
Ci pare opportuno, come sempre, partire dal dato biblico per poi passare a un’analisi della situazione economica e sociale odierna e infine trarre delle conclusioni aperte che servano per un’ulteriore riflessione.

La Bibbia parla dell’economia?
Una lettura integrale del testo biblico potrebbe far pensare che il credente non debba occuparsi di questioni concernenti l’economia e la politica e che la nostra priorità debba essere quella dell’attesa dei Nuovi Cieli e della Nuova Terra. Alle cose ultime, che rimangono prioritarie, il testo biblico accosta però anche il racconto e la descrizione delle cose penultime, dei problemi quotidiani che l’uomo affronta e che sono trattati con altrettanta attenzione.
La Bibbia, già nelle prime pagine, si accosta all’economia, se intendiamo quest’ultima come la risposta alle esigenze materiali dell’uomo (la buona amministrazione della casa, nel senso più proprio del termine). Già il racconto della Creazione spiega chiaramente che ciò che è posseduto dall’uomo è subordinato alla Volontà di Dio e la sua prosperità deriva dall’ubbidienza alle leggi del suo creatore[1].
Nell’A.T. ci sono diversi esempi di uomini materialmente ricchi (e anche abili nelle operazioni commerciali) che rimangono, per buona parte della loro vita, fedeli a Dio. Due sono gli esempi che vengono in mente: Abramo[2] e Salomone[3]. Entrambi sono presentati come ricchi ma entrambi sono stati benedetti da Dio nella loro prosperità perché nelle loro richieste a Dio non hanno mai messo la ricchezza al primo posto. La ricchezza di Abramo deriva dall’ubbidienza alla promessa, quella di Salomone, dalla sua richiesta di saggezza. Non vi è nessun brano biblico che deponga a favore di una benedizione diretta di Dio sulla ricchezza dell’uomo e sulla sua prosperità. Essa è considerata sempre come elemento secondario.
Se la prosperità rimane una possibilità per l’uomo che ubbidisce a Dio, essa però deve essere sempre accompagnata da equità, giustizia e legalità. Una delle maggiori tematiche degli scritti profetici dell’Antico Patto riguarda la giustizia. Già nel libro dei Re, il profeta Elia[4], oltre a riprendere il re e il popolo per la loro idolatria, si occupa del problema della vigna di Naboth e della legittima e giusta proprietà. Il profeta Amos[5] e molti altri predicano la giustizia e il soccorso per il povero, ricordando che qualsiasi proprietà deriva da Dio.
Nel Nuovo Testamento la predicazione di Cristo inizia, in una società profondamente diseguale da un punto di vista sociale, con la beatitudine del povero[6] e con la condanna del giovane ricco che mostra tutto il suo attaccamento ai beni terreni tanto da non lasciarli per seguire Gesù[7]. Allo stesso tempo, però, Gesù non abbandona i ricchi a Mammona[8] (il Dio del denaro condannato più volte nei suoi detti), ma cerca, per quanto possibile, di redimerli: Zaccheo[9] e Matteo Levi[10] sono i due esempi di questa opera di grazia.
La prima comunità sorta dalla predicazione del risorto sembra avere una soluzione radicale nei confronti della proprietà e del profitto. La comunità di Gerusalemme mette tutto in comune. L’episodio di Anania e Saffira[11], condannati per la loro avidità, ci interroga ancora oggi su questo problema.
Le comunità paoline, collocate sicuramente in una situazione meno marginale da un punto di vista economico e sociale, sono formate di lavoratori collocati in tutte le classi sociali, cui si chiede di impegnarsi nella loro vita secolare e di diventare exemplum della nuova comunità d’Amore in un mondo corrotto, mondo che riceve la sua maggiore condanna (anche della ricchezza proveniente dalla corruzione) nelle comunità dell’Asia Minore ai tempi dello scrittore dell’Apocalisse.
Infine non bisogna dimenticare che anche i temi economici e sociali che, come abbiamo visto panoramicamente, abbondano nella Bibbia, sono da collocare nella prospettiva escatologica nella quale sono posti all’insegna di un controllo divino capillare che prefigura il giudizio finale[12]
In conclusione possiamo dire che il messaggio biblico attesta:
a. Una guida da parte di Dio nelle questioni concernenti il lavoro e l’eventuale prosperità;
b. Una forte attenzione nei confronti dell’equità sociale ed economica che, però, non prevede un totale livellamento delle classi sociali;
c. Un richiamo continuo all’integrità da parte degli operatori economici.

La nostra attuale situazione
Da quando, nel 2008, ci sono stati i primi segnali di una recessione della ricchezza dei paesi Occidentali (tutti più o meno sorti sulla base di radici cristiane) non vi è giorno in cui le pagine dei giornali non parlino di questa crisi, dei suoi effetti tremendi, di come eventualmente le nostre vite cambieranno in maniera irrimediabile e irreversibile.
Sicuramente l’Occidente non si trovava di fronte a una crisi di queste proporzioni almeno dagli anni Settanta del secolo scorso, primo momento in cui l’ottimismo sorto alla fine del Secondo conflitto mondiale subì una battuta d’arresto dinanzi al dilemma della possibilità della fine e dei limiti delle risorse energetiche. A distanza di circa un quarantennio la crisi ha colpito abbastanza duramente il nostro mondo, mostrando i limiti delle concezioni economiche e di vita proposte in questa fase della nostra storia.
La società capitalistica, sin dal suo sorgere, ha creato un’organizzazione economica complessa che si è sviluppata alternando momenti di organizzazione e crescita a congiunture riorganizzative e di crisi. Karl Marx affermava nel Manifesto che la borghesia è una delle classi più cangianti del mondo e che è capace di ristrutturarsi e cambiare continuamente il modo di produzione. La crisi che stiamo attraversando è di questo tipo: una ristrutturazione del capitale e della sua configurazione e distribuzione, senza che si prendano in considerazione le conseguenze etiche del cambiamento.
Dopo il 2001 (anno dell’attentato alle Torri Gemelle) l’Occidente, anche tramite una poco scrupolosa serie di avventure finanziarie, ha perso fiducia nelle proprie capacità di riproduzione della ricchezza e ha iniziato, in una congiuntura economica non felice, una serie di conflitti (bellici e non) che, allo stato attuale, non hanno avuto esiti positivi.
Nonostante questa situazione il dettame del dover sempre crescere ha portato gli Stati europei e gli Stati Uniti a permettere che i propri cittadini potessero arricchirsi in maniera poco etica, che potessero contrarre debiti oltre le proprie possibilità per accrescere il proprio benessere a scapito degli altri. La speculazione puramente finanziaria, dove la produzione di quanto necessario al bene comune non sembra essere il fine primario, è stata una delle cause (sicuramente non l’unica) del disagio in cui ci siamo trovati.
A fronte di una cultura privata sempre più basata sul Sé, su ambizioni di tipo materialistico e che non guarda all’altro come al prossimo ma come il consumatore da cui trarre profitto, anche gli Stati non sono riusciti a gestire in maniera appropriata una spesa solidale, affondando in scriteriati sprechi e in guerre che, man mano che si va avanti, sembrano divenire sempre più inutili e costose.
Questa situazione ha sicuramente origine da una deriva morale e da una considerazione dell’economia come luogo dove ciò che conta è essenzialmente il profitto e non le persone che interagiscono. Siamo lontani dai periodi in cui la discussione sui grandi problemi economici era connessa alle riflessioni etiche (come accade nel padre dell’economia politica, Adam Smith[13], che insegnava filosofia morale, in Max Weber[14] quando parlava di “spirito del capitalismo” e in alcuni scritti di J.M. Keynes[15]) e si preoccupava anche delle prospettive di lungo termine. Vi è stato un graduale sbiadimento della questione etica nell’economia. La nostra preoccupazione va proprio a questo aspetto. La perdita di prospettive future e di speranza danneggia  soprattutto le generazioni future che stanno cercando la propria vocazione nella società in cui viviamo.
A conclusione di questa parte, una riflessione va fatta sulla nostra Nazione. Se gli altri stati occidentali sono consapevoli da diverso tempo della crisi economica, sino ad ora in Italia vi è stata una parte della società, fortemente attratta da aspetti effimeri e volatili del vivere, dimentica dei sentimenti di solidarietà e di coesione morale, che ha negato che il nostro Paese fosse interessato dalla crisi economica del mondo occidentale. Sembra che una tale prospettiva di autoinganno sia passata e che la nostra società, seppure con un certo ritardo, si sia resa conto della rovinosa politica morale che si stava portando avanti. La nostra speranza è che il nostro Paese e la nostra società possano venir fuori da questa situazione.

Amore di Dio, bene comune e pace economica
Sulla base della riflessioni bibliche e socio-economiche fatte sino ad ora, tenendo conto dell’attuale dibattito teologico, vorremmo concludere il documento con una serie di prospettive.

a. Sappiamo che il Dio venuto sulla terra per salvarci desidera una salvezza integrale, dove l’Amore regni sovrano. Riteniamo che tale priorità dell’Amore debba esserci anche nel campo economico, dove devono prevalere i sentimenti, sempre più marginalizzati nella nostra società[16], di solidarietà e di comunità,.

b. Sulla base delle indicazioni divine, non possiamo credere che la logica del profitto a ogni costo sia quella che debba prevalere. Pur non essendo contrari al libero mercato, alla libera circolazione delle merci (che ha significato, almeno per un certo periodo, anche libera circolazione delle idee), questo non significa che l’egoismo debba dominare.

c. La società, secondo il modello biblico, deve essere giusta. Molti teologi hanno parlato della centralità della giustizia e di come essa debba guidare tutte le nostre decisioni[17]. Se, per essere più giusti, si deve pensare a una “decrescita felice” (come dicono alcuni sociologi francesi)[18] ciò non deve spaventarci, perché riteniamo che al centro del rapporto tra gli uomini ci debba essere l’Amore per il prossimo, la solidarietà e la giustizia.

d. Riteniamo che i credenti debbano continuare a impegnarsi a fondo nel mondo degli affari e dell’economia per dare l’esempio di come si possano risolvere questioni complesse e di come le nostre vocazioni possano essere multiple. Come affermato dalla Dichiarazione di Wheaton del 2009[19], passione, umiltà, fede, saggezza, integrità e speranza sono i valori che devono essere portati avanti in questa situazione.

e. Come più volte affermato il nostro compito è sì di essere pellegrini in questa terra, ma anche di lottare affinché il bene comune sia perseguito nelle nostre società. Questo significa impegnarsi anche in un mondo fatto di troppi privilegi per pochi e di molte vessazioni per molti. Il presente documento vede la crisi dal punto di vista dell’Occidente, ma non dobbiamo dimenticare che viviamo in una situazione privilegiata rispetto al Sud del mondo che potrebbe essere sempre più danneggiato da questa situazione.

f. La nostra proposta, quindi, è quella di porci, in primo luogo, in una posizione di preghiera attiva e, in quanto cristiani evangelici, assumere quell’atteggiamento profetico della Chiesa che, come ricordato sopra, ha portato i profeti a esseri vigilanti e a sperare il cambiamento delle società in cui vivevano[20].

g. Pur non essendo questo un documento che proponga delle soluzioni al problema economico (anche gli stessi economisti e pensatori cristiani non hanno sino ad ora proposto nulla di realmente concreto[21]) pensiamo che sia opportuno che i credenti riflettano sulle seguenti questioni:

1. Le Chiese dovrebbero essere esempio di finanza limpida. Molto spesso le nostre stesse organizzazioni non sono integre e non hanno avuto la capacità di gestire oculatamente i propri beni come i protagonisti della parabola biblica dei talenti.

2. Se fosse possibile sarebbe il caso di creare reti di associazioni cristiane di imprenditori e di aziende che si aiutino in questo periodo di difficoltà.

3. Ogni credente dovrebbe adottare il principio di responsabilità nella gestione delle proprie finanze e non cercare di vivere secondo un modello capitalistico quanto meno amorale, ma confidando nel Dio che dà.

4. Una ricerca ed una riflessione su possibili metodi alternativi di gestione dei capitali sarebbe auspicabile.




allontana da me vanità e parola bugiarda;
non darmi né povertà né ricchezze,
cibami del pane che mi è necessario,
Proverbi 30:8


[1] Genesi 1, 26-27
[2] Genesi 13, 2
[3] 1 Re 3
[4] 1 Re 19
[5] Amos 2, 6-16
[6] Luca 6, 20
[7] Matteo 19, 16-26
[8] Matteo 6, 24
[9] Luca 19, 1-10
[10] Matteo 9, 9-13
[11] Atti 5, 1-11
[12] Giacomo 5
[13] A. Smith, Teoria dei sentimenti morali, Rizzoli, Milano, 2005.
[14] M. Weber, Economia e Società, Edizioni di Comunità, Milano, 1961.
[15] J. M. Keynes, Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano, 1994.
[16] Cfr. L’impegno di Città del Capo, Gbu, Chieti, 2011.
[17] Cfr. N. Wolterstorff, Justice: Rights and Wrongs, Princeton University Press, Princeton, 2007.
[18] Ci riferiamo in particolare al pensiero di Serge Latouche. Tra i suoi diversi saggi si veda in particolare Breve Trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.
[19] Per la versione integrale del documento, uno dei pochi redatti dal mondo evangelico durante questo periodo di crisi, si veda http://www.lausanne.org/en/documents/all/consultation-statements/1105-wheaton-declaration-on-business-as-integral-calling.html
[20] Sulla funzione profetica della Chiesa vedi M. Volf, A Public Faith, Brazos Press, Grand Rapids, 2011.
[21] Bisogna ammettere che il mondo cattolico nel suo pensiero sull’economia ha fatto delle proposte ed ha pensato in maniera più approfondita di quello evangelico. A parte l’enciclica papale si veda R. Marx, Il Capitale. Una critica cristiana alle ragioni di mercato, Rizzoli, Milano, 2009. Non vanno dimenticate le opere di sintesi del mondo protestante storico. Si vedano A. Rich, Etica economica, Queriniana, Brescia, 1993 ed il meno noto in Italia E. Herms, Die Wirtschaft des Menschen, Mohr, Tubinga, 2008.