lunedì 22 febbraio 2016

Del prendere seriamente le parole di Gesù. Un cristianesimo radicale

S. Claiborne & T. Campolo, Red Letter Christianity: Living the Words of Jesus No Matter the Cost, London, Hodder & Stoughton, 2013, pp. 288, € 13,45
 
Recensione di: Daniele Mangiola
 
 
Che rapporto c’è tra la Chiesa e il mondo? Se è vero, come è vero, che procede con passo da pellegrina sulla terra, se la sua meta è altrove, come deve vivere questa estraneità? Differenti interpretazioni a questo interrogativo hanno dato differenti modalità di essere e testimoniare la propria cristianità.
Da una chiesa totalmente proiettata sulla propria meta celeste, che procede a passo spedito attenta a non avere alcun contatto con la polvere che calpesta, per non contaminarsi, e chi voglia seguirla lasci subito e per sempre tutto ciò che lo lega a questa terra senza più voltarsi. Una chiesa che non ha alcuno sguardo per il mondo se non di rifiuto, nessun coinvolgimento.
Ad una chiesa che, in nome del proprio superiore destino si sente chiamata a governare questa terra, di modo che essa non sia causa di contaminazione per la chiesa stessa, determinata a far di tutto perché la giustizia di Dio regni sul mondo, tutta concentrata nella propria missione di conquista.
La chiesa ama il mondo? odia il mondo? proverà a redimerlo o eviterà di contaminarsi con esso? cosa è poi “mondo”? gli uomini? le strutture, i sistemi, quelle forme in cui si manifesta la comunità umana e che definiamo “società”? la creazione tutta, la natura? o soltanto il peccato che tutto questo corrompe?
Intanto che cammina sulla terra, che farà la chiesa? parteciperà alla vita sociale? si preoccuperà del destino della natura? parteciperà alla sofferenza del povero, dell’orfano e dello straniero? e con quale obiettivo? strapparli al mondo? o salvare il mondo nella sua interezza? oppure, certa dell’ineluttabile destino di esso, eviterà ogni forma di coinvolgimento sapendo che nulla potrà essere fatto per correggerne la caduta?
E’ evidentissimo nella vita della prima chiesa degli Atti degli Apostoli che quella piccola comunità “could show the world what a society of love looks like” (68), afferma Shane Claiborne in Red Letter Christianity. Living the Words of Jesus no matter the cost, il libro-dialogo scritto a quattro mani con Tony Campolo, edito da Hodder & Stoughton nel 2013. In questa affermazione c’è una specifica visione dell’impegno sociale della chiesa dunque di una chiamata di questa ad essere calata entro il mondo.
Tony Campolo, prolifico scrittore, pastore battista, professore emerito di sociologia alla Eastern University, è stato spiritual advisor di Bill Clinton, esponente della sinistra evangelica americana, Shane Claiborne, metodista, che di Campolo è stato allievo, è uno dei leader del movimento The Simple Way, cristiani di denominazioni diverse che vivono in comunità entro i sobborghi di Philadelphia a contatto con poveri ed emarginati.

In diverse edizioni della Bibbia si trovano i detti e i discorsi di Gesù evidenziati in rosso all’interno dei Vangeli. Questa è l’origine del nome “Red Letter Christianity”, un movimento transdenominazionale di cui Claiborne e Campolo, insieme ad altri, quali Jim Wallis e Brian McLaren sono i promotori, che si pone l’obiettivo di tradurre in vita pratica le parole di Gesù.
In una realtà diffusa di chiese numerose e popolate viviamo, come cristiani, la coscienza che sebbene il numero di credenti sia ampio, rischia di diventare sempre più difficile la ricerca tra questi di autentici discepoli. Da qui un fenomeno sempre più evidente di insofferenza che porta tanti cristiani a forme di religiosità individuale e non-comunitaria, sfiduciati dalla chiesa come struttura che si manifesta certo efficiente e funzionale, ma sempre meno autentica. “People today want a Christianity that looks like Jesus again” (13), soprattutto tra le giovani generazioni.
Il primo Dialogue on History spiega il motivo e l’origine del nome “Red Letter Christians”. La derivazione è quella evangelical e fundamentalist, due appellativi che hanno avuto la loro forza e la loro ragion d’essere. Quando la teologia liberale ha messo in discussione l’inerranza delle Scritture il termine fundamentalist ha dato ragione di un bisogno di riaffermare la completa fiducia nell’autorità della Parola. Successivamente però, dopo i primi decenni del Novecento, fundamentalist ha cominciato ad essere associato con un cristianesimo oscurantista e anti-intellettuale; per questo motivo autori come Billy Graham cominciano ad usare un nuovo appellativo che riunisse quegli evangelici che non si riconoscevano in quei luoghi comuni, il termine evangelical. Con il passare del tempo, però, ci ritroviamo oggi una realtà in cui evangelical è associato ad un evangelismo di destra, a favore della guerra, delle armi, della pena di morte, anti-femminista, anti-gay, anti-aborto, anti-ecologista.
La scelta di un nuovo nome nasce dunque dal bisogno di testimoniare l’estraneità da quegli angusti stereotipi, senza doversi per forza identificare con quello altrettanto angusto di evangelici progressisti o di sinistra.
E’ evidente dunque che i Red Letter Christians intendono l’essere cristiani come un preciso impegno di testimonianza sociale, di cura per la terra e per gli oppressi, a sequela delle parole di Gesù.
Due generazioni a confronto, quella di Campolo, ottantenne, una vita di impegno accademico, quella di Claiborne, poco più che trentenne, impegnato con gli ultimi e gli emarginati. I vari dialoghi sono raggruppati in tre sezioni, la prima di argomenti teologici, sulla comunità, la liturgia, l’inferno, l’Islam, l’economia; la seconda sezione di impegno e vita sociale, su ambiente, questione femminile, razzismo, omosessualità, disobbedienza civile; la terza sezione di tematiche più ampie quali guerra e violenza, il debito dei pesi poveri, il medioriente, la politica, la missione.
Una delle critiche (e sono tante che giungono da più parti del mondo evangelical americano) alle quali il testo cerca di rispondere è quella secondo cui il concentrarsi sui discorsi di Gesù significhi una arbitraria sottovalutazione del resto delle Scritture. E’ riaffermata la diretta ispirazione dello Spirito Santo su tutte le Scritture. Ma è arrivato il tempo “to take the teachings of Jesus seriously” (6).
Una altra critica alla quale il testo prova indirettamente a rispondere è quella riguardante la sottovalutazione dell’istanza teologica a favore di una pratica comunitaria forse troppo disinvolta. Così Claiborne precisa “Every long-term of our communities is encouraged to be a part of some local congragation” (23), ma è vero che nella preghiera in Giov 17,22 Gesù chiede che noi siamo “uno”. Difficile conciliare questo con la realtà di oltre 30 mila denominazioni cristiane. Una comunità che si concentra sulle parole di Gesù può condividere una vita di pratica cristiana senza dover diventare a-denominazionale o post-ecclesiastica.
Il testo è di sicuro interesse anche per il fatto che affronta in modo diretto ed esplicito tematiche “roventi” ai nostri giorni. Non sempre e non dappertutto condivisibili, le posizioni espresse, ma sono la testimonianza del tentativo di uno sguardo alternativo, radicalmente biblico alle questioni poste dalla nostra società. Uno sguardo che vuole evitare di classificarsi conservatore o progressista ma cerca di restare concentrato sulla coerenza con messaggio evangelico. Come può ad esempio, un cristiano, dichiararsi pro-life, dunque contro aborto ed eutanasia, e poi essere a favore della guerra e della pena di morte? (85).
Sarà di sicuro scomodo leggere le pagine nelle quali si riconosce che il mondo evangelico abbia da prendere ispirazione dalla ricerca di autentica spiritualità di alcune forme di cattolicesimo romano, da figure come Ignazio, Caterina da Siena, Francesco d’Assisi, Giovanni della Croce.
E’ innegabile comunque che il ritratto di evangelico delineato è di sicuro agli antipodi da quello delle invettive pubbliche anti-islamiche, del consumismo a-critico, del moralismo  bigotto e giudicante, dell’evangelismo sfarzoso e mediatico nel quale tanta parte di noi si rispecchia a fatica.


domenica 14 febbraio 2016

SUL GENDER E ALTRE COSE NOTE


Sul gender e altre cose note (I)

Agli onori della cronaca italiana, nelle ultime settimane è emersa la questione delle unioni civili perché, proprio in questi giorni, si sta discutendo in Parlamento la legge Cirinnà che permetterebbe, una volta approvata, la possibilità per persone che siano anche dello stesso sesso di poter avere un riconoscimento da parte dello Stato e, cosa ancora più in discussione, la possibilità di adottare il bambino del proprio coniuge (la cosiddetta stepchild adoption). Proprio in reazione a questa legge ed alla sua eventuale approvazione, nelle ultime settimane ci sono state diverse manifestazioni pro o contro la legge, dove hanno partecipato diversi credenti, tra cui anche evangelici conservatori ed evangelici liberali che si sono schierati su opposti versanti (pro o contro la legge). In questa rubrica di oggi (cui ne seguiranno altre sulla questione) non vogliamo prender parte per l’una o l’altra fazione, ma, come è sempre stato, vogliamo analizzare e parlare del contenuto di un testo che ci possa portare insieme a delle riflessioni in un campo dove, va detto, la serenità degli animi talvolta sembra esacerbarsi senza portare ad una pacata riflessione.
Il libro che esamineremo è stato scritto da una delle filosofe italiane più conosciute oggi, anche per la sua capacità di divulgazione e per essere uno dei nostri numerosi cervelli in fuga. Si tratta del libro di Michela Marzano intitolato Papà, Mamma e Gender e che è stato pubblicato qualche mese fa per i tipi della UTET.
Il testo in oggetto non è stato coinvolto nelle polemiche odierne, ma in quelle precedenti, ormai sgonfiatesi, sulla questione dell’educazione alla teoria gender all’interno della scuola italiana che sarebbe stato introdotto dalla legge 107, detta anche legge sulla “Buona Scuola”, idea che si è rivelata priva di reale fondamento, soprattutto dopo i chiarimenti ministeriali in proposito. Il testo parte dalle prime manifestazioni, tenutesi la scorsa primavera dei Family Day ed inizia, tra l’altro, con una citazione di Carlo Maria Martini sulla comprensione e l’amore. Nel primo capitolo la Marzano analizza quanto si è diffuso come teoria gender da parte degli organizzatori del Family Day, mostrando l’inconsistenza di alcune delle affermazioni e la confusione, anche ideologica, che è stata fatta della questione.
L’A., che afferma di essere credente, e, nel confutare le tesi di coloro che hanno organizzato il Family Day, parte da alcune affermazioni del Vangelo, in particolare da quelle concernenti l’amore per il prossimo. Il ragionamento è più o meno questo: se Gesù dice di amare anche il nostro nemico, come possiamo odiare coloro che hanno idee sul genere diverse dalle nostre? E’ chiaro che il ragionamento prende solo una parte del Vangelo e che è parziale, ma. talvolta si potrebbe dire altrettanto di coloro che hanno marciato anche nei giorni scorsi in Italia. Il testo continua, con buon piglio, nella difesa della diversità di genere e parte, senza in realtà averlo dimostrato, alla difesa di quello che è la libertà di scelta dell’uomo nel campo della gestione del proprio corpo e nel campo della scelta della propria sessualità. Marzano (che è una specialista della questione) ha ragione nell’affermare che la sessualità è fortemente legata alla corporeità ed al proprio essere nel mondo e fa bene a ricordare che il corpo fa parte dell’essenza della nostra umanità, ma come questo corpo possa essere definito è oggetto di discussione.
Nell’ultima parte del libro che è concluso da un capitolo che riapre, quasi a ciclo, l’attacco contro gli organizzatori del Family Day, nella sua ultima parte apre anche alla definizione delle questioni di genere. L’A. afferma che la costruzione della sessualità (e in questo riprende soprattutto quanto affermato da Judith Butler nei suoi testi) è essenzialmente culturale e, che, quindi, il nostro essere biologicamente determinati in una certa maniera ha poco valore, rispetto alla costruzione che ne viene fatta. Proprio per questo motivo, bisognerebbe lasciare libera espressione alla propria sessualità. Marzano si rende anche conto che la Butler e le sue idee sono state anche criticate nel campo del femminismo (si fa riferimento alle aspre critiche che qualche anno fa furono portate avanti da M. Nussbaum), ma ritiene che oggi ci sia una radicalità che vada accettata.
La sintesi di quanto viene detto è questa. Cosa possiamo dire del testo? Sicuramente la Marzano che aveva un compito divulgativo ha ben assolto a quest’ultimo rendendo leggibile il libro anche ad un grande pubblico e questo è sicuramente un merito. Che dire delle idee? Molto di quanto esposto non è condiviso da chi scrive e trovo che l’A., molto spesso, non dia conto in maniera chiara delle sue posizioni. Perché essere favorevoli alle unioni civili, perché fa parte dello Spirito del tempo o perché ci sono altri motivi che andrebbero meglio spiegati? Come si fa a sostenere la tesi che la cultura prevale sul biologico? Come si sostengono oggi le posizioni del DSM psicologico che ha derubricato l’omosessualità dalle malattie psicologiche? E’ possibile avere un approccio sulla questione del genere che sia diversa da quella dell’A. e diversa anche di coloro che hanno marciato (e continuano a marciare) per i vari Family Day? Queste domande non mi sembrano avere risposta e mi sembra che le conclusioni date siano preconfezionate e che, quindi, il testo finisca nella catena di quelli instant book, che, per quanto efficaci nella prosa e per quanto siano anche pieni di riferimenti opportuni all’oggi, non lascino pienamente il segno. Un libro del genere, pertanto, rischia di fare il paio con le osservazioni poco cogenti di coloro che hanno introdotto il problema del gender (giustamente criticati dalla Marzano per l’improprietà linguistica per la scarsa conoscenza dell’argomento) e non porta ad un contributo che sia ragionato e sereno, nonostante l’occasione sarebbe stata interessante. Allo stesso tempo non condividiamo alcuni degli atteggiamenti che si sono avuti nei confronti dell'A. quando si è deciso di non farla parlare in locali pubblici di proprietà comunale, impedendo la libera espressione e impedendo anche un libero confronto che forse avrebbe potuto chiarire alcune delle questioni da me poste.

Valerio Bernardi - DIRS GBU


martedì 9 febbraio 2016

Chiesa Totale



Tim Chester, Steve Timmis, Chiesa Totale. Intorno al vangelo e alla comunità.

Se un titolo come Chiesa totale può sembrare ambizioso, il sottotitolo dell'originale inglese lo è ancor di più: “Una riforma/ridefinizione (reshaping) radicale intorno al vangelo e alla comunità". Non si tratta di un manuale per far crescere le chiese, né di un trattato di ecclesiologia, ma di una serie di riflessioni inerenti a temi e problematiche tipici della vita di una chiesa, che propongono di rimodellare, o riformare paradigmi concettuali e di funzionamento propri di chiese evangeliche di paesi come l'Inghilterra, in cui l'evangelismo ha avuto ed ha una diffusione piuttosto ampia. L'obiettivo di queste riflessioni non è tanto quello di formare chiese numerose e di successo, quanto piuttosto piccoli gruppi per lo più domestici, fedeli al mandato lasciato da Gesù, e capaci di incarnare il vangelo nell'ordinarietà delle routines delle società postmoderne. Gli autori sono entrambi leader di un movimento, The Crowded House, che raccoglie diverse chiese caratterizzate dall'elemento comunitario più che da quello strutturale, spesso ubicate in case.
Il testo è articolato in due parti: la prima, molto breve e costituita solo da due capitoli, pone le basi teoriche della “riforma” proposta che sono due: il vangelo e la comunità. Il vangelo non  è solo fatto di miracoli, di esperienze mistiche, o di manifestazioni di potenza: in primo luogo è fatto di parole. È parola missionaria che va vissuta nella propria quotidianità. Si rovescia quindi il concetto di missione pensata come viaggio verso un altrove lontano, per proporre una missione orientata verso il contesto in cui ogni singola chiesa locale vive (quartiere, vicinato, ambiente lavorativo). Ugualmente è ridefinito il concetto di comunità: questa non è una delle tante attività o luoghi che girano intorno alla vita occupata del singolo, ma la sua stessa identità, il suo centro vitale grazie a cui realizza delle attività.
Posti questi due principi teorici i restanti nove capitoli procedono nel ristrutturare gli altri ambiti in cui, comunemente, una chiesa opera. L'evangelizzazione non sarà quindi uno sforzo in cerca di metodologie comunicative efficaci o della messa a punto del miglior marketing ecclesiastico, ma piuttosto la costruzione di una rete di relazioni incentrate sull'amore con le numerose persone che ogni singolo membro di chiesa incontra nel quotidiano: amici, vicini, colleghi di lavoro, avventori di locali... Ugualmente l'azione sociale, distinta concettualmente dall'evangelizzazione, ma da questa inseparabile, non sarà costituita da un'agenda sovraccarica di attività e programmi di assistenza ai bisognosi, quanto piuttosto una serie di azioni spontanee, fatte dai singoli membri che apriranno le loro case ai bisognosi e cercheranno di instaurare con questi relazioni amichevoli.
La fondazione di chiese diventa un elemento centrale di questo modello ecclesiastico, e sorpassa in importanza lo sforzo proteso nel far crescere di più le chiese esistenti. Ma anche qui la riflessione non si sviluppa su tecniche speciali di provenienza sociologica o psicologica, ma sulla cultura di vite di umili membri di chiesa che si sforzano di incarnare nella propria vita i principi del vangelo. In questo contesto la casa diventa uno strumento concreto di fondazione di chiesa, elemento familiare al contesto neotestamentario, che il movimento di cui gli autori del libro fanno parte richiamano anche nella loro esperienza personale.
Il contrasto tra professionalità e ordinarietà si ritrova anche nei capitoli che il libro dedica alla missione estera, alla formazione, alla cura pastorale: in tutti questi ambiti, a parere degli autori, l'eccesso di professionalizzazione ha creato un divario tra il vissuto concreto della chiesa e gli esperti del settore che finiscono di tenere in piedi strutture fini a se stesse, allorquando l'attività continua di tutti i membri negli stessi settori potrebbe produrre – e di fatto produce - risultati migliori sia nel tempo che nella qualità.
Prevale la preoccupazione comunitaria anche nell'affrontare temi come la spiritualità, la teologia , l'apologetica e la formazione di giovani e bambini: la vera spiritualità biblica non è silenziosa ed isolata, ma fatta di parole e di relazioni comunitarie; la teologia su cui lavorare, non è quella speculativa ed astratta, ma è fortemente ancorata alla missione e alle problematiche che l'attività missionaria in corso d'opera solleva; ed i dottori della chiesa non saranno cervelloni onniscienti che dispensano il loro sapere, ma guide aperte che vengono formate mentre formano; l'apologetica più che cercare argomenti sopraffini che non riusciranno mai a convincere nessuno, prenderà atto che il problema dell'incredulità non sta nella scarsa razionalità del vangelo, ma nelle prese di posizione del cuore di chi lo rifiuta, e pertanto avrà cura di porsi come testimonianza amorevole che, amorevolmente, rende conto di ciò in cui crede. In altre parole la miglior apologetica non sarà razionale, ma consisterà nello stile di vita dei credenti diventando relazionale. Infine, lo sforzo proteso ad educare bambini e giovani, più che quello di cercare contesti, occasioni e attività accattivanti e finalizzate a catturare i gusti e le aspettative dei bambini e dei giovani, sarà piuttosto mirato ad integrare nella comunità questi ultimi, avendo cura di proporre loro gli stessi contenuti formativi che seguono gli adulti e di perseguire gli stessi scopi della chiesa, eventualmente secondo modalità consone alla loro forma mentis.
A corollario di quanto detto, l'ultimo capitolo sul successo non potrà che far rilevare la preferenza degli autori per comunità molteplici, cioè piccole ma diffuse, piuttosto che numerose ed accentrate, guidate da leaders capaci di potenziare gli altri membri di chiesa piuttosto che di prestare performances impeccabili, per vivere una vita cristiana che inneggia non ad una teologia della gloria, ma a quella della croce. Il concetto ripreso da Lutero propone proprio la rivelazione di Dio non in ciò che attrae, ma nel nascosto, nel piccolo e nell'ordinario.
La mia valutazione su questo libro è nell'insieme molto positiva: il richiamo alla parola del vangelo e alla sua verità corregge quei modelli ecclesiastici preoccupati solo dell'elemento comunitario (vedi emerging church), mentre l'accento posto sulla comunità richiama l'attenzione di molte chiese tradizionali rispetto a questa dimensione costitutiva della chiesa. Pienamente condivisibili anche i diversi “rovesciamenti” illustrati sopra, nella misura in cui rimettono al centro le relazioni e l'amore in qualsiasi riflessione sulla chiesa. In alcuni punti tuttavia questa preoccupazione è forse eccessiva. Ci si può chiedere se una certa strutturazione ed organizzazione non possa e non debba dialogare con una continua attenzione all'elemento relazionale e comunitario senza per forza sclerotizzarsi; o ancora, se alcune caratteristiche di chiese molto numerose che sono state utili alla causa del vangelo non possano essere in qualche modo salvate o rivalutate: investimenti per il sostengo di missionari, costruzioni di ospedali, scuole o orfanotrofi in paesi bisognosi difficilmente possono essere portate avanti da piccole comunità domestiche, mentre risultano agevoli a chiese grosse.
Immagino che la ricezione di questo testo abbia un impatto piuttosto diverso a seconda dei paesi in cui viene letto. Per il mondo anglosassone si configura come un effettivo richiamo ad una riforma, essendo presenti molte chiese evangeliche che nel tempo hanno inevitabilmente conosciuto forme di irrigidimento, di tradizionalismo o di perdita del dinamismo degli inizi. Per il pubblico italiano, invece, penso che la ricezione sia diversa: non che il mondo evangelico italiano sia immune dalle pecche appena elencate, ma esistendo da meno tempo non ha forse ancora conosciuto tutti gli errori stigmatizzati nel libro. Molte chiese italiane hanno in effetti una dimensione e delle dinamiche simili a quelle del modello descritto in Chiesa Totale. Questo serve da incoraggiamento a rivalutare diversi elementi (mancanza di strutture, scarsità di persone, di dimensione, poca visibilità, ecc.) che spesso le chiese italiane cercano di allontanare, ma serve anche da monito per evitare di perseguire obiettivi potenzialmente perdenti. Proprio per questo, oltre che per una lettura individuale, il testo è particolarmente adatto ad una lettura comunitaria.
Un'ultima annotazione su una piacevole caratteristica di impostazione: quasi in ogni capitolo gli autori hanno inserito delle schede in color grigio che raccontano testimonianze dirette di persone e vite che seguendo uno dei principi espressi hanno riscontrato un miglioramento della propria vita di fede. Questo contribuisce a mettere in evidenza le possibili applicazioni di questo illustrato.
In conclusione, Chiesa totale, è un libro succinto, ma di grosso spessore, che affronta in modo efficace questioni grosse ed ha il pregio di fornire delle linee guida valide per la conduzione di una chiesa, sia da parte di un pastore, ma anche e soprattutto, da parte della comunità che nel compito della conduzione è implicata.

Stefano Molino - Dirs GBU