domenica 19 aprile 2015

CALVINO E CASTELLIO




Calvino il “dittatore”.

La casa editrice Castelvecchi di Firenze negli ultimi anni ha mostrato un certo interesse per il mondo protestante, pubblicando, fra l’altro, alcuni scritti di Karl Barth e di Albert Schweitzer. Negli ultimi mesi ha iniziato a pubblicare una serie di biografie storiche scritte da uno dei maggiori specialisti degli inizi del XX secolo: lo scrittore ebraico Stefan Zweig. Zweig, prima dell’avvento del Nazismo, viveva nella Vienna post conflitto bellico, città piena di fermenti culturali. Nel 1934 si trovò costretto a fuggire e, qualche anno dopo , nel 1942 (anno della “soluzione finale), nel suo rifugio brasiliano si suicidò, come è tragicamente accaduto anche ad altri esponenti della cultura ebraica del secolo scorso. Tra le numerose opere, scritte con una prosa molto chiara e avvicente, vi è una breve biografia intitolata intitolata Castellio gegen Calvin oder Ein Gewissen gegen die Gewalt (Castellio contro Calvino una coscienza contro la forza), tradotto in italiano qualche mese fa.
Il testo, in cui si mostra come l’intellettuale ebreo si documentasse sugli argomenti che affrontava inzia con una prefazione che ha come scopo di spiegare il perché della scelta di “ricostruire” biograficamente le vicende che legarono questi due intellettuali riformati. Per Zweig il motivo è legato profondamente alla libertà di coscienza, all’uso del proprio libero pensiero ed alla violenza che ad esso in Occidente spesso è stata fatta. Il testo, scritto nel 1936 dall’A. ormai in esilio, probabilmente allude anche ai roghi che dei suoi testi, molto popolari nell’area di lingua tedesca, erano stato fatti dai Nazisti che lo vedevano come un esponente della cultura giudaica e che lo censurarono e ne vietarono la lettura a prescindere da una reale conoscenza dei contenuti.
Calvino, quindi, rappresenta lo spirito della censura delle coscienze, il tiranno delle stesse, mentre Castellio, “un moscerino contro un elefante” come egli stesso afferma, rappresenta lo spirito di tolleranza (di eredità erasmiana).
La narrazione inizia dall’arrivo di Calvino a Ginevra. Zweig mette in evidenza i pregi del riformatore francese, la sua erudizione, la sua dedicazione al lavoro di teologo, ma anche (e soprattutto) i suoi difetti: l’intolleranza sopra ogni cosa, ma anche la mania del mettere ordine nella coscienza altrui, l’idea di un governo della città guidato dalle autorità religiose e così via. Calvino riesce a dar ordine a Ginevra ed è esortato in tutto ciò da Farel, anche lui descritto come un violento riformatore, ma senza l’erudizione e la dedicazione di Calvino. Il racconto raggiunge il suo culmine quando si parla del caso Serveto, uno di quelli che ha suscitato più scalpore a proposito della Ginevra riformata.
L’intellettuale ebreo non lesina parole di critiche a Serveto, ambizioso, supponente, talvolta poco prudente nell’esposizione delle sue ed anche poco ordinato nelle sue credenze, ma, allo stesso tempo, ritiene che, nonostante i suoi difetti non aveva demeriti tali da essere sottoposto a tortura e al rogo. Per Zweig, al contrario di quanto affermano oggi diversi storici della Riforma, la colpa ultima della condanna di Serveto è di Calvino che, in seguito, ha cercato di coprire le tracce della sua colpevolezza, adducendo come motivazione il fatto di non far parte del Consiglio di Ginevra e di aver, addirittura, chiesto pietà per l’antitrinitario spagnolo.
Dopo il rogo di Serveto (comminato nella maniera più crudele consentita dall’epoca), le reazioni ci furono e alcuni dei consigli delle città cantonali non apprezzarono la decisione di Calvino, ritenendola un passo indietro rispetto alla libertà di coscienza che, nel movimento della Riforma, era stata invocata sin dall’inizio (si pensi a Lutero durante la Dieta di Worms). Ma a parte alcuni mugugni solo un uomo ebbe il coraggio di schierarsi contro Calvino, si trattava di Sebastiano Castellio, anche lui aveva aderito al Credo riformato, anche lui per un certo periodo si era rifugiato a Ginevra, dove, però, non aveva trovato il favore di Calvino né come predicatore (non gli fu mai assegnata una Chiesa), né come docente (pur essendo un valente conoscitore delle lingue bibliche). Rifugiatosi a Basilea, da lì Castellio sferra il suo attacco a Calvino, ritenendo che la condanna a morte per eresia non sia qualcosa che possa essere comminata dalla Chiesa o da chicchesia, ma che l’eresia vada combattuta con la ragione e la disputa.
Questa obiezione riceve attenzione da Calvino e dai suoi discepoli (anche Teodoro di Beza ed il suo ritratto non ne esce bene dal testo) che cercano dapprima di vietare la pubblicazione delle opere di Castellio e, in un secondo momento, non contenti, di denunciarlo come eretico perché non credeva nella dottrina della doppia predestinazione. La vittoria, come dice Zweig, pare arridere a Calvino, soprattutto nel momento in cui, Castellio, piuttosto cagionevole nella sua condizione fisica muore a soli 48 anni, ma, a lungo andare la vittoria momentanea di Calvino che riesce, in qualche modo, a “schiacciare” il nemico e le sue idee non darà i suoi frutti.
Gli scritti di Castellio saranno ripubblicati quasi un secolo dopo e saranno presi in grande considerazione soprattutto nei Paesi Bassi che, dopo il conflitto religioso tra arminiani e calvinisti, si avvicinerà agli ideali di Castellio proprio per ritrovare la pace religiosa che era mancata allo stato olandese. Pertanto il moscerino avrà ragione dell’elefante, soprattutto con l’avvento del libero pensiero.
Questa, basilarmente la tesi di Zweig in un testo scorrevole, dotato di una prosa vigorosa e ben scritto. Ovviamente al lettore vanno ricordate alcune cose fondamentale: si tratta di una biografia scritta con tratti personali. A nostro parere, i personaggi (soprattutto Calvino), sono sin troppo caricati. Ne viene fuori il ritratto di un Calvino tirannico, ossessionato dal potere, turbato da qualsiasi dissidenza, vendicativo nei confronti dei nemici. Castellio è l’eroe di Zweig, nato e morto povero, reietto nonostante sia della stessa caratura intellettuale del suo avversario, mite e non propenso alla discussione ed alla condanna. Sicuramente dal punto di vista storico, le cose sono andate un po’ diversamente (l’appoggio che Castellio ebbe da Melantone e che fu determinante per lo stesso, viene solo accennato ad un certo punto del testo) e il racconto risente profondamente del tempo in cui è stato scritto e dell’idea di Zweig di condannare qualsiasi forma di intolleranza nei confronti del pensiero. Allo stesso tempo, gli scritti parlano da sè: in alcune citazioni Calvino appare chiaramente livoroso e piuttosto duro nei suoi giudizi e, per questo, da buoni evangelici che non hanno santi da venerare, dobbiamo riconoscere i limiti (intellettuali e di carattere) di uno dei più importanti riformatori. La lettura del testo di Zweig è un buon antidoto per un evangelico e non santificare il proprio passato, ma a riconoscere, in uno stato di perenne pentimento, i propri limiti.

                                                                                              Valerio Bernardi - DIRS GBU


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