venerdì 7 marzo 2014

Pacs, Dico e Registri (Nicola Berretta)

Non passa giorno in cui non assistiamo ad annunci televisivi su possibili decisioni del governo o delle autorità locali in merito alla regolarizzazione delle coppie di fatto, mediante l’istituzione di registri comunali appositi. L’ultimo, e penso unico, tentativo fallito di stabilire delle normative in merito risale al 2007, col disegno di legge sui DICO, scritto sulla falsa riga Patti di Solidarietà tra le “coppie di fatto” (PACS) francesi, e comprendenti anche normative di Diritto Civile relative alle coppie omosessuali conviventi. Di fronte a questi interventi normativi si assiste anche ad una veemente levata di scudi da parte di tutti quei politici, appartenenti ad ambedue gli schieramenti, che in qualche modo fanno riferimento agli insegnamenti morali della Chiesa Cattolica, la quale non risparmia quotidianamente di condannare anche la sola eventualità che questo tipo di tematiche vengano discusse in sede parlamentare. Come si pone il credente di fronte a tutto ciò?

Occorre riconoscere che non è facile affrontare la questione con serenità. Anche noi credenti infatti non siamo esenti dal clima politico di contrapposizione esasperata che si respira da diversi anni in Italia. Tuttavia credo che dovremmo perlomeno tentare di affrontare questi argomenti liberandoci da certi schemi ideologici di conflitto destra/sinistra che la politica attuale ci impone. Tanto più in casi come questo, in cui ci troviamo ad affrontare un tema “scabroso” quale l’introduzione di leggi a tutela della coppie gay, anche perché, permettetemi di dire, la televisione stessa non ci risparmia di propinarci questi argomenti con l’ausilio di immagini su coppie omosessuali disinibite riprese durante un qualche gay pride, condizionando dunque ancora di più le nostre reazioni. È proprio in situazioni di questo genere, nelle quali è più facile scivolare in risposte istintive, che diventa imperativo esaminare bene la piattaforma teologica entro cui elaboriamo le nostre convinzioni.

La tendenza generale, da quel che mi è dato di vedere, è quella di sostenere la battaglia che la Chiesa Cattolica porta avanti. Se infatti in molte circostanze siamo noi evangelici i primi a lamentarci della presenza oltremodo invadente della Chiesa Cattolica nella realtà sociale del nostro Paese, in questi casi tendiamo ad apprezzarne i risvolti positivi, considerando dunque le pressioni del Vaticano sulla politica come un baluardo che ci ripara da derive immorali della nostra società. Ho però l’impressione che ci dimentichiamo la piattaforma teologica entro cui si pongono gli interventi del Vaticano. La Chiesa Cattolica ha un’impostazione teologica in base alla quale la Chiesa non attende la realizzazione del Regno di Dio sulla terra solo in seguito ad un evento catastrofico, quale il ritorno di Cristo, ma si muove in vista di una realizzazione, qui ed ora, del Regno stesso, operando all’interno della società. Questa impostazione positivista della storia dell’umanità, tra l’altro, non è nemmeno di pertinenza esclusiva del Cattolicesimo, ma la si ritrova anche in ambito Protestante, in particolare nel Calvinismo.
Ho l’impressione che quando noi evangelici guardiamo con favore agli interventi del Vaticano sulle coppie di fatto etero- e omosessuali, ci dimentichiamo della piattaforma teologica entro cui nascono, e non ci rendiamo così conto di abbracciare indirettamente quella stessa impalcatura dottrinale. Cerco di spiegami meglio.
Sono convinto che la Bibbia sia molto chiara sul fatto che la pratica dell’omosessualità sia un peccato. Questo ci autorizza ad incoraggiare una legislazione che renda illegale la pratica dell’omosessualità? La stessa domanda potrebbe porsi per le convivenze prematrimoniali. Penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che la Bibbia condanna la fornicazione e l’adulterio, dovremmo allora adoperarci per una legge che faccia andare in galera chiunque venga scoperto ad intrattenere rapporti sessuali biblicamente illeciti?
Io ritengo di no. Ciò non toglie che se uno si converte a Cristo, provenendo da una storia personale di vita moralmente dissoluta, omo- o eterosessuale che sia, debba confessarlo al Signore e ravvedersi, cambiando radicalmente il proprio stile di vita. Se però riteniamo che la Chiesa sia chiamata ad imporre alla società le sue regole morali, per realizzare una società cristiana, se cioè partiamo da una piattaforma teologica analoga a quella della Chiesa Cattolica, risponderemo necessariamente di sì alle domande precedenti.

La domanda di fondo a cui siamo chiamati a rispondere è: fino a che punto noi credenti dovremmo auspicare un regime politico che limiti per legge l’esercizio delle libertà individuali, fossero anche libertà di peccare?

Rispondere a questa domanda non è facile, ma proprio per questo motivo diventa urgente per noi accertarci della piattaforma teologica entro cui tentiamo di dare una risposta.
Nel popolo d’Israele, il popolo del Patto, la questione della libertà individuale di poter peccare non esisteva proprio. Nel popolo di Dio il peccato individuale diveniva automaticamente peccato di tutto popolo, e per questo lo contaminava. Vigeva dunque forte il monito: “…non si trovi in mezzo a te chi…” (Deut 17:2-5; 18;10-12) oppure “…così toglierai il male di mezzo a te…” (Deut 22:21.24). L’esempio classico è probabilmente quello descritto in Giosuè al capitolo 7, in cui Acan, per un suo peccato personale, diviene responsabile di aver contaminato tutto il popolo di un peccato di interdetto (Gios 7:13) e per questo motivo viene ucciso con tutta la sua famiglia. Acan non poteva certo appellarsi alla sua libertà personale di commettere peccati dei quali avrebbe individualmente risposto davanti a Dio. No, la sua colpa era la colpa di tutto il popolo.
Possiamo noi applicare questi principi oggi? Il peccato che il non credente compie, nella sua libertà individuale di disobbedire a Dio, trasmette una colpa a tutti gli altri?
La risposta, da ciò che mi è dato di capire dalla Scrittura, è no. Questo principio, semmai, è valido all’interno della Chiesa, dove la palese disobbedienza al Signore deve essere sanzionata. Alla Chiesa di Tiatiri viene rimproverato il fatto che “tollerava” Iezabel (Ap 2:20). La Chiesa non può “tollerare” al suo interno la libertà individuale di peccare. Ma è lecito estendere questo principio fuori dalla Chiesa?

È qui che salta fuori l’importanza della piattaforma teologica. Per la Chiesa Cattolica la distinzione tra Chiesa e mondo è molto meno demarcata rispetto a quella che noi cristiani evangelici normalmente abbiamo. Per il Cattolicesimo non esiste di fatto, là fuori, un mondo perduto, separato da Dio e distinto dal popolo di Dio. È per questo motivo che tende ad applicare là fuori norme che hanno un senso all’interno della Chiesa, non al suo esterno. Per contro ritengo che si debba fare estrema attenzione nell’evitare di applicare all’esterno della Chiesa normative che sono di stretta pertinenza della vita all’interno della Chiesa, di coloro cioè che sono entrati nel Nuovo Patto in Cristo Gesù.
Dunque, se siamo d’accordo nel rifiutare quella piattaforma teologica che prevede una realizzazione del Regno di Dio attraverso l’influenza che la Chiesa esercita nella società, dovremmo, a mio giudizio, affrontare argomenti come i registri di convivenza o le unioni di coppie gay in modo diverso. Per cui, pur affermando senza equivoci che l’omosessualità è un peccato, dovremmo riconoscere ad uno Stato laico il diritto di legiferare a tutela di chi, nella sua libertà (…di peccare…) decide di convivere con una persona del suo stesso sesso.

È mio convincimento che il ruolo della Chiesa non sia quello di impegnarsi a veder applicate normative più o meno restrittive, volte a veder garantiti canoni di condotta morale adeguati alla nostra fede, quanto piuttosto quello di annunciare Cristo risorto. Questa affermazione, tacciabile magari di esprimere uno stucchevole e banale enunciato di principio, una sorta di “rifugio nel privato” per non sporcarci le mani nell’impegno civile, vuole invece essere l’esatto contrario. Il nostro desiderio è infatti quello di vedere uomini e donne che “camminano in novità di vita”, in ogni ambito della propria condotta etica e morale, perché trasformati nel loro cuore dalla grazia di Dio. Uomini e donne trasformati nel cuore, quelli sì che saranno sale nella società, capaci di incidere su di essa, e al limite anche trasformarla radicalmente.
La predicazione di Cristo cambia davvero la società perché agisce come chi estirpa una pianta alla radice. Impegnarsi invece come Chiesa a veder stabilite normative giuridiche consone ai nostri canoni morali equivale a impegnarsi a tagliarne le foglie esterne. 

Nicola Berretta (Edizioni GBU)

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