martedì 17 marzo 2015

Il pericolo dell'intolleranza religiosa in Occidente



Martha C. Nussbaum, Libertà di coscienza e di religione, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 82


Martha Nussbaum, docente di Law and Ethics presso l'Università di Chicago e esperta di filosofia greca e latina, è stata nominata nel 2008 tra i cento pensatori più importanti dalla rivista Foreign Policy. Negli anni Ottanta ha iniziato una collaborazione con Amartya Sen che ha portato insieme ad altri ricercatori alla fondazione, nel 2003, della Human Development and Capability Association.

Il clima di paura permea la società, forse oggi più che nel 2009, anno di pubblicazione in Italia di questo pamphlet, e la diversità religiosa, per la sua irriducibilità, è quella che viene temuta più di ogni altra. L'autrice inizia con una dichiarazione d'intenti: per evitare che la paura ci spinga a comportamenti errati bisogna rinforzare la tradizione di rispetto della libertà di coscienza anche quando questa richiede l'esonero da leggi generali, mantenendo “l'interesse imperativo dello stato” come unico limite. La libertà religiosa non è compatibile con un'istituzionalizzazione del fenomeno religioso, con la creazione di un'ortodossia religiosa, una forma che crei un discrimine tra norma ed eccezione.

Il contesto di riferimento del discorso dell’autrice sono gli Stati Uniti, ma nei due principi descritti riscontriamo problematiche comuni al nostro paese, con l'aggravante dell'assenza di una legge sulla libertà di religione e con la “tradizione cattolica” che di per sé si configura come ortodossia.

L'autrice parte dal mito fondatore della società americana, i pellegrini del Mayflower in fuga dalle persecuzioni religiose in patria e dalla concezione di libertà religiosa che spinse i costituenti a     iscrivere nel Primo Emendamento il seguente statuto: “Il Congresso non potrà emanare alcuna legge a favore del riconoscimento ufficiale di qualsiasi religione, o per proibirne il libero esercizio”.

Roger Williams sosteneva, nel suo La sanguinaria dottrina della persecuzione per causa di coscienza del 1644, che la definizione di una religione ortodossa non solo è lesiva per chi non professa quella fede ma, anche, che la libertà di coscienza richiede uno spazio per essere dispiegata e lo Stato deve garantire e proteggere questo spazio in maniera eguale ed imparziale.
Il liberalismo classico stabilisce che la libertà religiosa è equa e imparziale quando non ci sono leggi che penalizzano credenze e pratiche religiose e che, le leggi, per essere imparziali, non devono punire determinate pratiche solo perché recanti una valenza religiosa (che sia la macellazione degli animali o l'utilizzo del latino). L'imparzialità è il bene da tutelare e questo implica che non debbano esistere eccezioni o speciali dispense per motivi religiosi.

Un'altra corrente, di cui la Nussbaum non ci da altre indicazioni, non si accontenta dell'imparzialità lockeana perché le leggi, in democrazia, sono figlie della maggioranza, il che non è indice di ostilità nei confronti delle minoranze ma comporta che tante questioni vengano trascurate. Questa tradizione invita a concedere deroghe speciali come quella accordata da George Washington ai quaccheri riguardo al servizio di leva o alla protezione del segreto della confessione.
Le tensioni tra le due correnti negli Stati Uniti sono state ricorrenti ma la possibilità dei singoli stati di riequilibrare, con leggi protettive nei confronti di determinate pratiche religiose, le sentenze restrittive della Corte Suprema ha permesso di mantenere un certo equilibrio. È in questo frangente che l'autrice lancia una stoccata all'Europa riferendosi chiaramente alla Francia nella sua gestione lockeana del religioso.

Il riconoscimento di una religione di stato viola analogamente l'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla società poiché crea, come  sosteneva Madison, un in-group e un out-group.
La Nussbaum analizza tre casi specifici: la preghiera a scuola, gli allestimenti pubblici e il finanziamento statale a scuole religiose.
Questi casi le permettono di centrare l'obiettivo che non deve essere la totale separazione tra Stato e chiesa, di cui, secondo l’autrice, non si trova traccia nella costituzione americana né, tanto meno, è augurabile in quanto impossibile da realizzare, bensì deve essere la ricerca del livello entro il quale tale separazione è positiva.

L'autrice prosegue individuando due avversari di questa concezione di libertà di coscienza: l'establishmentarian e l'antireligioso.

L'establishmentarian è colui convinto che solo definendo un’ortodossia, il “chi siamo”,  le origini e i valori, si può sopravvivere nel caos di tante religioni, si può mantenere l'ordine e la sicurezza pubblica. Il diverso potrà vivere in pace ma rimarrà diverso, non entrerà mai nello spazio pubblico, ad eguali condizioni, apparterrà all'out-group.

L'antireligioso invece disapprova in toto la religione nello spazio pubblico e la religione di per sé come “una reliquia di un'era prescientifica, foriera di nient'altro che guai” forte di una razionalità laica e scientifica. L'antireligioso tende ad avere due pesi e due misure: la religione della maggioranza, in quanto parte della cultura dominante, non crea problemi mentre le richieste delle minoranze vengono mal tollerate. Inoltre l'antireligioso, concependo solo la propria visione del mondo, non ha rispetto per la libertà di coscienza e per i compromessi che lo stato fa per garantirla.

Questa lezione americana alla convivenza tra credi diversi ha tra i suoi limiti la semplificazione estrema di un problema annoso, tanto più nei paesi di civil law, dove la definizione dello standard, dell'ortodossia, è insita nella forma giuridica oltre che nella tradizione storica: la nascita dello stato moderno è riconducibile alla fine delle guerre di religione e al cuius regio eius religio della pace di Augusta. E' interessante tuttavia constatare che i nemici della pari dignità e proiezione dei diversi credi nella sfera pubblica siano gli stessi da entrambe le sponde dell'Atlantico: la ricerca dell'identità nelle radici storico-religiose e l'ateismo alla Odifreddi o Stephen Hawking.

Quale dovrebbe essere la nostra posizione? Anche se come morale siamo più vicini all'ortodossia cattolica che a tante altre minoranze, dovremmo perseguire la strada di un riconoscimento del fenomeno religioso al di là della vicinanza al paradigma cristiano giudaico, in quanto diritto del singolo e del gruppo non come  benevola concessione. Dovremmo tornare a far sentire la nostra voce in favore della tanto attesa legge sulla libertà religiosa per uscire da uno scenario a più livelli di discriminazione, con il Concordato che fa del Cattolicesimo la Religione, i culti che hanno regolato i rapporti con lo stato attraverso le Intese religioni di serie B; il resto una massa indistinta.


                                                                                                         Elena Ammirabile - DIRS GBU

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