domenica 15 novembre 2015

Il difficile rapporto tra cultura, civiltà e politica

Avevamo deciso di pubblicare un Lunedì letterario dedicato ad un blockbuster come Spectre, l'ultimo film dedicato a James Bond e probabilmente lo faremo la prossima settimana. Ma in queste ore di attentati terroristici, in Occidente e non solo, ci è parso utile ricordare alcune delle nostre recensioni dedicate alla questione del rapporto con l'Islam.
Si tratta di recensioni scritte durante questi anni e sono riflessioni su libri molto diversi, scritti da persone di formazione culturale diverse che, però, si sono tutte interrogate sulle stesse questioni. 
Le inseriamo in questo post in ordine cronologico e non di importanza. Allo stesso tempo riteniamo che riflettere su queste cose sia necessario e come dice Zizek (del cui libro sull'Islam qui si parla) è necessario riflettere anche quando il cuore ed i sentimenti possono portare a non essere lucidi. Da credenti evangelici crediamo in un Dio di pace, e crediamo che lo Shalom sia l'essenza anche di quanto scritto nell'Antico Patto. Proprio per questo motivo è utile documentarsi, evitare gli schiamazzi dei social e cercare di comprendere a fondo quello che succede nel mondo e di capire quali possano essere le soluzioni.
VB





Non so a quanti di voi sia capitato di entrare in libreria per curiosare e di uscirne con almeno qualche libro, acquistato più che altro per averne letto il titolo e per avere sbirciato nella quarta di copertina. A me è capitato spesso e ciò è dovuto alla mia curiosità di lettore impenitente che cerca sempre qualcosa con cui confrontarsi, soprattutto negli scaffali della saggistica filosofica, storica e teologica. Questa è la maniera in cui mi sono imbattuto nel testo di cui parlerò, acquistato da me pensando che si trattasse dell’ennesimo attacco di qualche fondamentalista ateo al cristianesimo ed alle religioni in generale e scoprendo all’inizio della lettura che invece si trattava di un testo serio, scritto con un certo fascino e che concerneva la sociologia delle religioni. Il libro in questione è del sociologo francese Olivier Roy e si intitola La santa ignoranzza. Religioni senza cultura, pubblicato in Italia dalla casa editrice Feltrinelli.

Il saggio, che è scritto da un protestante francese che ha avuto nella sua vita anche una buona preparazione teologica di stampo liberale. Lo scritto, infatti, inizia con una testimonianza personale dell’A. che, ricordando i giorni della sua giovinezza. rammenta quando, all’interno del gruppo giovanile protestante che frequentava, si presentò un giovane convertito dell’area evangelical che ogni volta che entrava diceva “Dio ti salverà” e che dava scarsa attenzione alla lettura ed all’analisi del testo biblico, pur credendo nella sua infallibilità. Questo approccio del giovane, a parere del sociologo francese, rappresenta un ottimo esempio di quello che è chiamato deculturazione della religione e che, oltre che avvenuta all’interno del mondo evangelico, si è presentata anche in altre religioni, soprattutto negli ultimi decenni.

La tesi di Roy è piuttosto semplice. Le religioni (di cui non si dà una definizione precisa nel testo ma, da buon socioogo, si prende atto di quanto viene definito tale da coloro che si definiscono relgiosi) sono sempre e normalmente legate ad un mondo culturale particolare ed agiscono all’interno di quel particolare mondo; quando però vogliono conquistare altri ambiti devono per forza di cose deculturalizzarsi, perdendo in parte la loro peculiarità ma, in questa maniera divenendo più fruibili per un maggior numero di persone.

Il sociologo francese (riprendendo in parte anche le tesi di Peter Berger) ammette che il fenomeno del religioso, anche in Europa, ma soprattutto in tutto il mondo, riemerge prepotentemente dopo che per qualche decennio si era affermato che si trattava di un qualcosa al tramonto in una società sempre più secolarizzata. La sua idea però è che si tratti di una religione profondamente diversa da quella che è stata professata in tutto il mondo sino al XIX secolo. Secondo quanto ipotizzato, infatti, qualsiasi religione (anche quelle di stampo più universalistico come il Cristianesimo e l’Islamismo) si è sottoposta ad un processo di inculturazione, adattandosi all’ambiente che la circondava e diventando propria di quell’ambiente. Gli esempi che sono riportati nel testo sono molteplici, ma si concentrano soprattutto sui concetti di etnia e nazione. Viene ribadito infatti che questi due concetti fondamentali per qualsiasi divisione umana, hanno anche diviso le religioni e talvolta hanno reso alcune di esse profondamente radicate nella società in cui sono sorte o si sono diffuse. Ad un certo punto della storia, però, quando le culture si sono incontrate e, a partire dalla fine del XIX secolo il mondo è diventato una “piccola sfera”, le religioni hanno profondamente mutato la loro identità, si sono deculturate.

Questo processo di deculturazione (che porta a quel fenomeno della santa ignoranza, della non indispensabilità della conoscenza della cultura da cui è sorta una religione o in cui si è sviluppata) è diventata ancora più marcata nella nostra età, quella della globalizzazione. La religione si è aperta al mercato e per questo motivo è diventata più accessibile alla gran massa dei consumatori che possono liberamente scegliere a quale credo accedere e trovarne la confezione adatta per lui. Lo studioso francese non condanna questo nuovo atteggiamento ma, da studioso delle società complesse,, lo descrive mostrandone il cambiamento ed il mutamento, in atto proprio durante gli ultimi decenni. Una tale apertura al “mercato” ed al gradimento dell’individuo da parte delle diverse religioni porta ad una loro omogeneizzazione ed al fatto che tutte quanto cercano di rispondere alla soddisfazione del sè e dell’individuo che ben le accoglie come risposta ad alcuni suoi bisogni. Queste le tesi del libro che riporta molteplici esemplificazione ed è dotato di una buona documentazione che mostra che Roy è un profondo conoscitore delle problematiche affrontate, sapendo distinguere anche tra le varie sfumature di un fenomeno particolarmente complesso..

Come valutare il testo, la tesi e la proposta di Roy. Personalmente penso che sia uno dei testi scritti da un sociologo francese sulla religione con più cognizione di causa: le radici protestanti dell’A. aiutano a districarsi nelle diverse prospettive del problema. Rimangono però dei dubbi sulla lettura proposta: Roy sembra tutto sommato un nostalgico cui non piace il cambiamento subito dalle religioni, pur ammettendo che le religioni nel XXI secolo ed una maggiore libertà di scelta, sono di qualche giovamento per gli individui che non sono costretti a scegliere a quale Dio credere solo perché appartengono ad una certa cultura. Il testo poi non è molto chiaro nella valutazione del fenomeno: pur comprendendo che si tratta di un’analisi sociologica che vuole essere avalutativa, sarebbe stato il caso di far comprendere meglio la propria idea. Un altro appunto che si può fare al saggio è quello della leggibilità: talvolta le parti sono piuttosto ripetitive e le numerose esemplificazioni fanno perdere il filo logico e disperdono quelle che sono le interessanti tesi dell’A. Manca anche un approccio che tratti della questione religiosa come fenomeno globale e sembra molto spesso che, benché Roy conosca molto bene il mondo extraeuropeo, la sua prospettiva, oltre che agli studi europei, rimanga ancorata ad una concezione eurocentrica del problema.

Il libro, comunque, rimane un’interessante lettura ed una buona fonte di informazioni.

Valerio Bernardi – DIRS GBU




Dopo l’11 settembre 2001 il rapporto tra cristianesimo e islam è diventato sempre più teso anche a causa di diversi problemi che, in realtà, erano già presenti sullo scacchiere internazionale e che derivano anche da travagliati rapporti secolari: la questione mediorientale, il rapporto di dipendenza delle democrazie occidentali dal petrolio dei paesi islamici, una certa aggressività presente nei paesi islamici nei confronti del crisitanesimo, la tensione creata in Occidente da una massiccia emigrazione di popolazione proveniente da paesi islamici, uno scacchiere internazionale che, dopo la caduta del Muro di Berlino e dopo gli scoppi dei primi conflitti a sfondo etnico-religioso nella ex Jugoslavia sembrava far emergere un mondo caratterizzato dallo scontro di civiltà come ipotizzato dal politologo Samuel Huntigton. In questa nuova prospettiva (in cui era ed è coinvolto tutto il mondo occidentale) anche i cristiani si sono ritrovati ad affrontare un problema che, nel mondo mediterraneo ed in Europa, era già ben presente sino al XVI secolo e che solo dopo era passato in secondo piano: come si può riuscire a convivere con una religione monoteistica aggressiva e concorrenziale rispetto al messaggio annunciato da Cristo? Le risposte date dalla storia sono state molteplici e, in un periodo in cui l’ostolità sembra aver prevalso spesso da entrambe le parti, è difficile pensare ad un dialogo aperto e sincero, senza dover temere rappresaglie o fraintendimenti.

Il libro che presentiamo questa settimana è uno dei più discussi tra quelli pubblicati quest’anno nel panorama evangelico e molti esponenti appartenenti a questa parte del cristianesimo non hanno visto di buon occhio quello che l’A. afferma. Proprio per questi motivi ci è sembrato necessario parlarne perchè lo studio del teologo croato Miroslav Volf, Allah: A Christian Response, pubblicato da HarperCollins, merita attenzione quanto meno per la proposta che viene portata avanti e per il percorsoche, seppur non scevro da critiche, rimane sicuramente stimolante e sollecitante per il lettore.
Il volume inizia con una dedica al padre di Volf, pastore pentecosale in Croazia che credeva fermamente che cristiani e musulmani adorassero lo stesso Dio. Una seconda precisazione, ancora più importante viene fatta nella prefazione. Si afferma che il testo è scritto essenzialmente per i cristiani e non per i musulmani e che si tratta di un’opera di teologia politica che non vuole entrare nel merito delle questioni concernenti il piano di salvezza, l’autenticità del messaggio, la centralità dell’opera salvifica di Cristo (cosa scontate per Volf) quanto riflette sulla possibilità di trovare un accordo di massima tra le due più grandi religioni monoteiste per cooperare insieme al bene comune.

L’origine della ricerca ha un punto di partenza chiaro: dopo l’attentato alla Torri Gemelle Volf, che dirige il Centro per la Fede e la vita pubblica all’università dell’università di  Yale, si è chiesto se fosse possibile trovare delle basi per la riconciliazione dopo una ferita così grave. Per questo motivo l’indagine prende le mosse da quello che è successo dopo nell’ambito teologico e da come alcuni leader del mondo musulmano hanno reagito al discorso che Benedetto XVI fece a Ratisbona nel 2006 dove sembrava che si affermasse che l’Islam fosse una religione non razionale che fomentava odio, rispetto a quella cristiana. Volf afferma che il discorso ratzingeriano (che tra l’altro prendeva spunto da uno scritto dell’imperatore bizantino Michele Paleologo) rappresenta una delle due possibili intepretazioni dell’Islam da parte dei cristiani, quella che pensa che essa sia una religione totalmente differente dal cristianesimo. A questo atteggiamento (che nella storia ricorre molto spesso nel Rinascimento e nel Medio Evo) si allinea, a suo parere anche l’evangelismo tradizionale con autori come John Piper, il quale afferma chiaramente che Allah è una divinità diversa dal Dio cristiano.

Partendo da questi assunti, Volf, tenendo conto dei dialoghi che lui stesso ha intrapreso con alcuni pensatori islamici (di cui il più importante è senza dubbio il principe filosofo Ghazi bin Muhammad, reggente di Giordania in assenza del re Abdullah e principale autore di una risposta inviata a Benedetto XVI e, coature, con Volf di un testo che raccoglie il dialogo cristiano-islamico tenutosi qualche anno fa a Yale), dice di appartenere a quella fazione di cristiani tradizionali che ritengono che Allah sia lo stesso Dio adorato dai cristiani e dagli ebrei e che rintraccia quest’idea anche in altri pensatori cristiani nella storia. I due maggiori autori di riferimento sono in questo caso il filosofo Nicolò da Cusa e Martin Lutero. Di Nicolò da Cusa si riprendono le idee concilianti e la sua discussione sul fraintendimento da parte degli islamici del Dio trinitario e da Lutero la sua analisi teologica che, pur condannando la religione islamica, ammette la coincidenza della divinità.

Al centro del testo, dopo questa premessa storico-teologica, vi è la discussione dei punti comuni tra islamismo e cristianesimo. Lo studioso di Yale ribadisce nella parte centrale del testo che gli attributi che sono dati a Dio nelle due religioni sono simili e che, benché vi sia una apparente differenza tra il Dio trinitario che diventa uomo in Cristo ed il distante Allah che può essere definito più per via negativa, le apparenti differenze provengono da diverse maniere di intendere il linguaggio religioso e da fraintendimenti sorti tra esponenti delle due religioni. L’altro punto comune tra Islam e Cristianesimo, a parere di Volf, è la profonda fede in un Dio d’amore e misericordioso. Queste basi comuni (che nel testo sono ulteriormente specificate e approfondite) portano il teologo croato ad affermare che si possa tentare di collaborare insieme, perdonandosi per quanto successo sinora, per il bene comune degli Stati in cui si convive e dell’umanità più in generale. Non sono nascoste le difficoltà e le proposte (la libertà di potersi convertire l’un l’altro in un libero e schietto dialogo possibile in ogni paese dove sono presenti le due religioni) talvolta appaiono una prospettiva futura più che una realtà, ma il testo si conclude con la speranza che cristiani e musulmani, continuando la loro opera di conoscenza reciproca, possano poi fondare delle società tolleranti, democratiche e aperte a tutti i cittadini liberi di agire con generosità e amore tra loro.

Il testo, nonostante l’alto livello della documentazione e la profondità dei ragionamento espresso, si legge con scorrevolezza ed è scritto in maniera molto chiara. La proposta finale di Volf è altrettanto chiara. Va apprezzata la profondità della ricerca e la grande capacità da parte del teologo croato di far conoscere aspetti della religione islamica che talvolta gli occidentali ignorano. A nostro parere, benché ci sentiamo di condividere le conclusioni e le prospettive future presenti nel libro, le debolezze sono proprio nelle sue basi dogmatiche: l’idea che Allah sia Elohim e che gli islamici parlino dello stesso Dio dei cristiani e degli Ebrei è un fatto, a nostro parere, cristallino, il problema è nella questione della misericordia e dell’Amore di Dio. Lo stesso Volf è disposto ad ammettere che l’Amore di Dio non sembra essere chiaramente insegnato dal Corano e per trovare l’epiteto di Dio come misericordioso deve fare appello alla mistica islamica medievale, ammettendo di fatto che il Corano, il testo sacro, non parla di questo. Nonostante queste critiche il libro va letto da tutti coloro che sono interessati alla questione e rimarrà una pietra miliare nel pensiero della teologia delle religioni quando essa è intesa non tanto come paragone tra possibili vie di ricerca della Verità assoluta, quanto come ricerca del bene comune e della pace e la riconciliazione tra i popoli.

                                                                                              Valerio Bernardi - DIRS GBU



Se qualcuno mi chiedesse chi sia oggi il maggiore filosofo vivente avrei dei dubbi a dare una risposta certa (è tipico dei filosofi). Se, però, mi chiedessero chi sia il filosofo più pop oggi non avrei alcun dubbio nella risposta e direi Slavoj Zizek. Zizek è probabilmente il pensatore più conosciuto al mondo, quello più presente nei dibattiti televisivi, nei giornali e nei social media (provate a cliccare il suo nome su youtube, ad es.). Irriverente, politcamente scorretto (continua, tra l’altro, a definirsi “comunista” pur ammettendo che Hegel è più grande di Marx), forse talvolta sin troppo provocatorio, rimane comunque, nonostante la onnipervasività delle sue posizioni ed una facilità di scrittura eccessiva, un grande pensatore.
Il libriccino pubblicato da Ponte delle Grazie intitolato L’Islam e la modernità. Riflessioni blasfeme,  si presenta come un vero e proprio pamphlet composto di due capitoli, l’uno derivante dalle riflessioni che il pensatore sloveno ha fatto dopo l’attentato in Francia alla redazione della rivista Charlie Hebdo, l’altro, di qualche anno addietro, frutto di una riflessione su ciò che è chiamato l’archivio dell’Islam, usando una tipica espressione lacaniana, dove la parola archivio designa ciò che è depositato nella nostra psiche e che forma gli archetipi del nostro comportamento.
Il primo testo, frutto di un ampliamento di un articolo che Zizek ha pubblicato sul Guardian, invita le persone a pensare anche a caldo rispetto ad un avvenimento di pochi giorni. Per il filosofo solo il pensiero ci permette di superare lo sgomento. Zizek nell’articolo vuole dimostrare tre cose: in primis, che gli islamici che hanno fatto l’attentato alla redazione francese non sono fondamentalisti; in secondo luogo, non sono dei barbari medioevali; in terzo luogo, hanno paura di ciò che rappresenta l’Occidente.
Per Zizek, infatti, il fondamentalismo è quello degli Amish, ovvero di coloro che rimangono ancorati alle loro tradizioni e che vogliono vivere isolati dal resto del mondo. Gli attentatori di Parigi, invece, vogliono convertire il mondo e vogliono reagire ad esso. Non si tratta di persone immerse nel Medio Evo, perché gli attuali fondamentalisti islamici usano tutti i mezzi moderni di comunicazione ed amano la modernità: vivono come in un perenne videogame dove sparare è diventata una cosa naturale.
Il secondo capitolo è di più difficile lettura ed è frutto di alcune riflessioni che il pensatore sloveno aveva fatto qualche anno addietro. Usando le tecniche psicoanalitiche di stampo lacaniano, si cerca di descrivere le caratteristiche tipiche della religione islamica e ciò che la rende differente dalle altre religioni monoteiste. Per Zizek l’Islam è la religione dell’abbandono anziché dell’accoglienza, come abbandonati e rigettati sono stati Agar e Ismaele, frutto non della volontà divina, ma della volontà dell’uomo. Riprendendo il racconto biblico della Genesi si vuole mostrare come già l’archetipo fondativo sia generatore d’ansia. Accanto a ciò, si fa notare come il dubbio sulla formazione della nuova Parola di Dio (il Corano) sia sempre presente il dubbio della tentazione diabolica e dell’entrata del male, cui l’uomo non ha nessuna capacità di reagire. Il rapporto Dio-uomo, quindi, risulta diverso tra Ebraismo e Cristianesimo da una parte e Islamismo dall’altra, dove il Dio appare molto più impersonale e distaccato. Queste caratteristiche, a parere, del filosofo sloveno, rendono l’Islam una religione più ansiogena rispetto alle altre due e che, per questo motivo, rischia di generare fenomeni come quelli avvenuti negli ultimi decenni.
La lettura di Zizek, come sempre, risulta interessante e provocatoria. Egli, infatti, ritiene che gli attentatori di Parigi siano fortemente attratti, come tutti, dai “valori” e dagli apparenti benefits dell’Occidente. La ferocia con cui si abbattono nei confronti di certe manifestazioni sono più sintomo di questa attrazione/repulsione che di un respingimento integrale. Il problema, quindi, sarebbe intrinseco alla stessa religione ed al suo ambiguo rapporto (oggi, non ieri) con il mondo capitalistico e con le sue possibilità. Ecco perché per rispondere ci vuole una filosofia radicale ed un’alternativa realistica all’odierna società neoliberale.
La lettura va consigliata proprio per la visione “eccentrica” di Zizek che non si preoccupa del politically correct. Alcune sue analisi sulla religione rimangono discutibili, fatte da una prospettiva atea ma rispettosa del fatto religioso.

                                                                                  Valerio Bernardi - DIRS GBU                     

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