domenica 8 novembre 2015

L'ebraismo e il futuro

J. Attali, Dizionario innamorato dell'ebraismo, Roma, Fazi, 2013
Recensione di: Daniele Mangiola

All'inizio l'appellativo “cristiani” non aveva nulla di onorevole, era un modo derisorio con cui si indicavano quei gruppi che professavano e predicavano del fatto che il Messia fosse finalmente giunto. Erano quelli fissati con questa storia del Cristo (Messia, in greco), i cristiani. Niente più.
Allo stesso modo “marrani”, che significa porci, in spagnolo, erano quegli ebrei che accettavano la conversione obbligatoria al cristianesimo, nel XV secolo, ma di nascosto rimanevano ebrei e continuavano a vivere secondo gli insegnamenti della Torah: bisognava scovarli, farli uscire allo scoperto, questi marrani, poi torturarli, farli confessare, poi ucciderli. In seguito “marrani” saranno tutti quelli discendenti dagli ebrei convertiti (convinti, forzati, fasulli e tutte le combinazioni possibili) di Spagna.
Di storie di marrani che hanno influenzato in ogni modo la politica, la scienza, la cultura, la storia, la società ad ogni latitudine in ogni epoca successiva fino ai giorni nostri, sono piene le pagine del Dizionario innamorato dell'ebraismo, di Jacques Attali, edito in Italia nel 2013 da Fazi.
Attali, nato ebreo d'Algeria e poi costretto con la famiglia ad abbandonare la terra di nascita alla volta della Francia negli anni 50. Considerato oggi uno degli intellettuali più influenti del mondo, economista prestigioso, è stato più volte consulente dei presidenti della repubblica francesi, Mitterand, prima, Sarkozy poi.
Del giudaismo di cui si dichiara innamorato, l'A. dice: «Amo il modo in cui mi fa riflettere, come molte altre grandi cosmogonie, sulle grandi costanti del mondo; amo anche le vicende di tanti personaggi della Bibbia e della storia, fedeli alla propria fede anche quando vengono costretti ad abbandonarla; amo anche quelle piccole storielle che sono dette “ebraiche”, illuminanti autoderisioni. Infine, o magari soprattutto, apprezzo nel giudaismo che esso non sia affatto geloso, ma tolleri molti altri amori». Costantemente impegnato ad adattarsi alla cultura ospitante, ad integrarsi e spesso a mimetizzarvisi dentro, eppur sempre con l'obiettivo preciso di non sciogliersi e disperdersi in questa, quale che sia stata, accogliente oppure ostile, il giudaismo ha maturato una modalità di essere plastico e dinamico, continuamente mutevole eppur sempre intensamente uguale a se stesso col passare dei secoli.
Il testo di Attali è un viaggio affascinante attraverso la storia, durante il quale si incontrano nomi di personaggi (Luria, Abrabanel, Perutz), di opere (Zohar, Guida dei perplessi), di figure bibliche (Abele, Mikal, Gesù) e il cammino dell'umanità si rivela al lettore da un diverso punto di vista.
Ad ognuna delle diverse terribili prove della storia, destinato ogni volta all'estinzione, l'ebraismo risorge miracolosamente dalle proprie ceneri.
«Io non ho scritto questo libro da credente o da ateo» scrive l'A. ma «la Bibbia è l’inevitabile matrice dell’ebraismo» e dunque è onnipresente tra le pagine del Dizionario. È affascinante osservare il rapporto di familiarità che gli ebrei hanno con i testi sacri, l'audacia con la quale li esplorano alla ricerca di nuovi orizzonti di senso. Così la riflessione sul tempo che si legge alla voce «Qoelet», i ritratti di Mikal, di Abele, offrono degli spunti di meditazione estremamente interessanti. «Gesù è un grandissimo ebreo. Chi, tra i cristiani, accetta questo fatto? Chi, tra gli ebrei, se ne ricorda?».
La forma del dizionario permette una lettura rilassata in quanto ciascuna voce è autonoma rispetto alle altre, e può essere letta singolarmente ma è difficile resistere al fascino di leggere l'opera per intero, il talento di scrittore di Attali è decisamente elevato.
In quanto dizionario «innamorato» non ha la pretesa di raccontare le cose più importanti ma semplicemente quelle che più stanno a cuore all'A. legate alla sua esperienza di vita. È dunque un'opera il cui dichiarato fine è divulgativo, e d'altronde è proprio come divulgatore che il talento di Attali brilla in modo particolare.
Interessante anche un'altra idea che scorre e si rivela qui e là per il testo, sulla fondamentale importanza che hanno avuto gli ebrei per la storia economica del mondo e degli stati e di come l'idea del tempo e la responsabilità umana sulle cose del mondo tipica dell'ebraismo sia stata determinante per l'economia moderna: «Per gli altri due monoteismi, il futuro appartiene solo a Dio, l’uomo non può farne commercio, ed essi rifiutano di far pagare un tasso d’interesse. Ne deducono che il mestiere del banchiere è una profanazione della legge divina». Al contrario invece è importante che l'uomo impari ad amministrare le proprie risorse nel tempo in base all'importanza e all'urgenza ed è su questo tipo di valutazione responsabile che si fonda il principio del tasso d'interesse.
Essere innamorati dell'ebraismo è oggi una cosa impopolare. Si levano da ogni parte accuse contro questa cultura che, a quanto pare, ha deturpato l'economia ma anche il cinema, la politica internazionale ma anche l'agricoltura. Quasi che essere ebreo significhi in automatico condividere la politica territoriale dello Stato d'Israele, che credere nella promessa di una Terra significhi per forza ragionare in termini di dominio e possesso e violenta repressione. E invece, avverte Attali, questo muro costruito per difendere il diritto all'esistenza dello stato politico di Israele sta per trasformarlo semplicemente nel più grande ghetto della storia e nient'altro.
Delinea, alla voce «Palestina» quale sia la sua idea di futuro per quella terra inquieta, spera nel riconoscimento di uno stato palestinese, immagina un ideale futuro in cui gli stati del medioriente si uniscono alla maniera degli stati europei. Guardare alla storia significa anche guardare alla continua rivelazione di sé da parte di Dio all'uomo e la faticosa e sempre inquieta storia di Israele è la testimonianza di questo continuo lavorìo passo passo sempre accanto alla Parola di Dio, alla Torah e alle voci potenti, proiettate verso l'avvenire, dei profeti. «Come se l’ebraismo fosse in realtà l’infanzia dell’umanità, primo sguardo meravigliato sul mondo, prima forma di fiducia nel Padre. Infanzia dell’umanità che bisogna perciò proteggere perché essa porta, come tutte le infanzie, la memoria delle vite precedenti e la promessa di fragili futuri».






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