giovedì 5 novembre 2015

Ripensare l'Apocalisse



Cinque anni fa nella nostra rubrica pubblicavamo questa breve recensione su un libro di Girard, scomparso ieri. Si tratta di un A. complesso, meritevole di essere studiato e che ha dato un contributo di lettura ai testi biblici e all'essenza della religione cristiana notevole. Tra i suoi interessi biblici vi è stato anche quello per l'apocalittica, i cui risultato sono riassunti da questo breve libro.

L’ultimo libro della Bibbia è stato uno dei più commentati e su cui più si è speculato all’interno del cristianesimo, anche negli ultimi decenni. Pochi nel mondo evangelico sanno che l’apocalittica è stata argomento di riflessioni anche da parte di laici e che è stata l’oggetto d’indagine principale di uno dei più grandi studiosi di storia della religione in Italia, Ernesto De Martino i cui appunti sulla Fine del Mondo sono stati pubblicati postumi da Einaudi e che hanno anticipato le analisi “culturali” sulla questione.
Uno studioso che appartiene alla schiera dei laici che si è interessato all’argomento ed ha studiato la Bibbia da “esterno” è stato nell’ultimo quarantennio René Girard. Letterato di formazione, affascinato dal testo biblico, Girard ha scritto diversi testi dedicati allo studio biblico e si è concentrato su quello che, a suo parere, è la dottrina centrale che rende la religione cristiana diversa da tutte le altre. La fine della ripetitività del sacrificio, per l’A. francese, avvenuto per una sola volta tramite Cristo visto come l’ultimo capro espiatorio, porta alla fine dell’introduzione dell’elemento di violenza nella religione. Questa “fine della violenza” (che può sempre però riapparire) è stata fondamentale per l’essenza della civiltà occidentale che, a partire dal trionfo del cristianesimo, è divenuta qualcosa di profondamente differente da quello che era in precedenza.
Sulla base di questa idea-guida (che emerge prepotentemente nel suo saggio La violenza e il sacro pubblicato in Italia da Adelphi)  il pensatore francese ha, in diverse sue opere, analizzato anche la concezione del tempo cristiano e di come sia essenziale la lettura dell’Apocalisse per comprendere questa idea. Il problema dell’apocalittica per un docente francese che ha insegnato a Stanford è divenuto più pressante dopo l’11 settembre ed è servito a riflettere su come si sarebbe dovuto reagire all’avvenimento.
Il libro uscito di recente per la Transeuropa (una piccola casa editrice che ha una collana dedicata alle opere di Girard) si intitola Prima dell'Apocalisse ed è composto da una lunga intervista fatta a Girard da Robert Doran nel 2007 e da uno scritto di Jean-Pierre Dupuy, epistemologo francese allievo dello stesso Girard, intitolato “Pre-vedere l’Apocalisse”. Per un catastrofismo razionale. I due scritti, pur nella loro eterogeneità rendono il piccolo libro interessante da leggere ed anche provocante per l’impostazione che gli è stata data.
L’intervista di Girard parte da alcune riflessioni preliminari sull’apocalittica cristiana. L’A., che dimostra la sua profonda conoscenza dell’esegesi contemporanea e non. Egli afferma che i primi cristiani leggevano l’Apocalisse come testo incoraggiante e non come un testo scritto per mettere paura alle persone e per parlare del tremendo giudizio di Dio, ma per confortarli in un periodo di crisi.
Girard, partendo da quest’analisi che ci trova concordi, cerca poi di applicare la lettura del libro biblico agli avvenimenti pre e post 11 settembre. Egli afferma che la reazione degli Americani è stata quella di un popolo ferito che ha dimenticato le proprie origini cristiane e che ha privilegiato nella reazione una sorta di paganità romana, dimenticando il discorso di misericordia e di negazione della violenza presente nel cristianesimo. Per questo motivo G.W. Bush è visto dall’A. come un interprete del neo-paganesimo e non del cristianesimo che non troverebbe piena esplicitazione nella reazione americana.
Un altro punto forte dell’intervista è il paragone che più volte è fatto tra cristianesimo e islamismo. Girard, pur ammettendo che l’islamismo deve molto alla religione cristiana e nasce, come direbbe lui, per un procedimento “mimetico”, è profondamente diverso perché la violenza originaria non è stata alienata da una figura centrale come quella del Cristo. Per questo motivo nell’islamismo è ancora possibile avere i kamikaze che, invece, sono del tutto impossibili in una cultura cristiana che ha proibito i sacrifici umani, resi inutili dall’ultimo definitivo sacrificio.
Il libro continua con il saggio di Dupuy che esamina il problema dell’apocalittica da un punto di vista ancora più laico e quasi “scientifico”. Il saggio di Dupuy afferma che la società occidentale ha dimenticato l’importanza di pre-vedere la catastrofe e, soprattutto dall’avvento del capitalismo, ha pensato di poter proseguire in una sorta di progresso infinito, dimenticandosi che la storia ha sempre una sua fine. Per questo motivo sarebbe meglio rivalutare una concezione ciclica del tempo che possa permettere di pre-vedere la catastrofe, accettandone le conseguenze e non facendo finta di ignorare che il tempo della storia non è sempre orientato verso il meglio. Dupuy, infatti, afferma che può sempre succedere che qualche nostra scelta ci porti a eventi imprevedibili nella loro esatta posizione temporale, ma prevedibili nella loro eventualità. Tutto questo ci deve far riflettere sull’indeterminazione della nostra vita.
Il libro si legge facilmente e se, nella prima parte, la lettura è affascinante soprattutto per chi non conosce il pensiero di Girard e che vogliano iniziarsi a esso, nella seconda parte, quello del saggio di Dupuy, è mostrato come il discorso apocalittico che, nella interpretazione tradizionale appare visionario e irrazionale, ha una sua razionalità che non va sottovalutata e che andrebbe apprezzata anche negli sforzi esegetici e pastorali nell’affrontare un testo di difficile interpretazione.
L’altra questione per cui consiglio la lettura di questo breve testo è che mostra come le nostre radici cristiane, anche quando cerchiamo di fare un discorso laico, riemergono sempre e permettono di comprendere anche a noi come questo genere letterario nato nel mondo ebraico e che ha avuto la sua celebrazione finale nel cristianesimo, sia costitutivo della nostra cultura e del nostro modo di pensare da occidentali.


                                                                                                          Valerio Bernardi – DIRS GBU

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